“Il Padre nostro? Sa di patriarcato…”. L’arcivescovo la spara grossa

La figura del padre è ingombrante. Soprattutto se si tratta del Padre, ovvero Dio. E così, l’arcivescovo anglicano di York, Stephen Cottrell, ha deciso di mettere in discussione la preghiera che Gesù ha voluto lasciarci: il Padre nostro. La più dolce delle orazioni. Quella del Figlio che insegna ai suoi fratelli, per i quali si farà mettere in croce, come rivolgersi al Padre. Che sta nei cieli, apparentemente lontano dalle cose di quaggiù, ma solo per lasciarci liberi e, così facendo, scegliere volontariamente il bene al posto del male.

“So che la parola ‘padre’ è problematica per coloro la cui esperienza di padri terreni è stata distruttiva e offensiva, e per tutti noi che abbiamo faticato un po’ troppo per una presa opprimente patriarcale sulla vita”, ha detto l’arcivescovo. Ora, al di là del fatto che uno magari può aver avuto un’esperienza “distruttiva e offensiva” anche con la propria madre, bisogna ormai avere il coraggio di riconoscere che, se una società patriarcale è realmente esistita, questa è finita nel ‘68 e che tutti coloro che sono nati dopo questa data sono cresciuti in una società che, di fatto, ha eliminato il padre. Una società, a ben vedere, matriarcale.

E questo per diversi motivi. Primo tra tutti che i padri, con l’avvento dell’industrializzazione, sono costretti a stare fuori di casa più tempo per lavoro. Certo, anche le mamme non fanno (grazie al cielo) più le casalinghe e lavorano anche loro. Ma spesso (talvolta anche a malincuore perché tenere insieme casa e famiglia non è facile) scelgono lavori part-time, che permettono loro di stare maggiormente con i propri figli. E poi perché, a causa dell’introduzione del divorzio, i padri sono, talvolta letteralmente, sbattuti fuori di casa e possono godere dei propri figli solo per poche ore al mese. Ciò provoca non solo negli uomini, ma soprattutto nei piccoli, problemi di varia natura che Claudio Risé descrive con dovizia di particolari nel suo Il ritorno del padre, parlando di “una società patologica“.

La figura di padre fa paura perché è legata a doppio filo a quella di uomo che, appunto, trova il suo massimo compimento nella paternità. Che è la forma di maschile più pura. È la differenza tra Ettore Achille. Il primo è un soldato che combatte per difendere ciò che ha alle spalle. Che magari combatte anche contro voglia ma perché lo deve fare. È la forza impiegata solo quando è necessaria e che, prima di andare in battaglia, solleva in alto il proprio figlio e spera che un giorno sia più valoroso di lui. Il secondo, invece, è la pura violenza che si fa carne e muscoli. Che tutto distrugge e che, per provare un po’ di pietà, deve trovarsi di fronte a un padre, quello di Ettore, che lo implora di lasciargli il corpo annientato del figlio. Solo a quel punto Achille cede e diventa più umano. Ma ci voleva un padre per farlo. Con buona pace dell’arcivescovo di York.

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