Il nome Schlein nel simbolo Pd. Prodi guida la rivolta

By Laura Cesaretti

«Ma con che faccia poi ci batteremo contro il premierato di Giorgia Meloni, se Elly Schlein mette il suo nome nel simbolo, addirittura alle Europee?». Un infuriato Romano Prodi ieri ha preso il telefono e chiamato, uno dopo l’altro, i big del Pd. Per invitarli a schierarsi contro la «sorpresa» che, di primo mattino, la segretaria dem ha fatto scodellare davanti ad un’attonita Direzione del partito, convocata per varare le liste elettorali. Per la prima volta nella sua carriera da leader, Schlein si ritrova a fronteggiare una aperta rivolta interna, col rischio di finire clamorosamente bocciata dai suoi. La proposta improvvisa (i più lo hanno saputo solo ieri mattina) non la fa lei nella lunga prolusione, trasmessa in streaming. Viene affidata, a microfoni chiusi, al presidente Pd Stefano Bonaccini: l’unico, insieme a un paio d’altri, ad essere stato informato e aver dato via libera nei giorni scorsi all’operazione: Elly capolista – come era ampiamente preannunciato – solo in due circoscrizioni: Centro e Isole. Ma il suo nome nel simbolo del partito: «L’unico precedente – ricorda in direzione Walter Verini – è stato quello di Veltroni nel 2008. Ma non si può paragonare: erano elezioni politiche, e lui era, da statuto, il candidato premier». Poi una chiosa perfida: «Se deciderai di farlo, spero che il 33,4% che prese allora il Pd sia di buon auspicio».

Traguardo irraggiungibile anche nel più roseo scenario, come è ovvio. E lo scenario non è roseo. Verini comunque consiglia alla segretaria di «evitare il voto» in Direzione: rischia una sostanziale sfiducia, che alla vigilia del voto sarebbe disastrosa. Sono già insorti contro quasi tutti: da fuori Prodi: «Chiedere il voto per poi non andare in Europa è una ferita alla democrazia». E subito Giuseppe Conte prende la palla al balzo: «Condivido, così si ingannano i cittadini». Dal lato opposto attacca Matteo Renzi, che posta ironico un video del 2014 di Bersani (grande sponsor di Elly): «Mettere il nome nel simbolo è una malattia, non una cura».

Ma è dalle file Pd che arriva una raffica di «niet»: uno dopo l’altro, in Direzione, si alzano esponenti delle più diverse anime interne, inclusa la sinistra più vicina a Schlein, e tuonano contro. Tutti con gli stessi argomenti: «Siamo contro i partiti personali e le scelte leaderistiche». Da Gianni Cuperlo a Graziano Delrio, da Laura Boldrini e Susanna Camusso a Piero Fassino, dal lettiano Marco Meloni ai cattolici Silvia Costa e Stefano Lepri, da Peppe Provenzano a Roberto Speranza a Debora Serracchiani. Tace Dario Franceschini, ma fa sapere che l’idea non gli piace, idem Andrea Orlando. Forti malumori anche dall’area Bonaccini: «Stefano ci ha riuniti sabato e non ci ha detto nulla di questa trovata», lamentano. «Non so chi abbia consigliato Elly – spiega un dirigente – ma lei la ha gestita in modo suicida: ha fatto accordi privati con alcuni capicorrente, ha garantito a Bonaccini il posto da capolista nel Nordest e una buona quota di potenziali eletti; ha garantito a Nicola Zingaretti di non mettergli altri laziali in lista e di fare il tandem con lei al Centro, e poi magari il capogruppo Ue. E ha pensato di passarla liscia: si sbagliava, ma vuol dire che non capisce nulla del partito. Ora ne uscirà male comunque». Se rinuncia, «è una ritirata». Se insiste, «lo fa contro il partito».

Alla fine si vota solo la proposta di liste, che contengono poche sorprese: c’è la sardina Cristallo e il paladino anti-omobitransfobia Zan (in ben due circoscrizioni), e anche la ex Verde ex 5Stelle Evi, messa in lista per fare un dispetto a Fratoianni e Bonelli che le hanno rubato Ilaria Salis. «Ma non eravamo contro il trasformismo?», nota un esponente. Sul simbolo, che va depositato oggi, Schlein dice che «rifletterà», e tenta di sminuire: «Non è una modifica, è un ‘una tantum’».

Ma lascia trapelare la minaccia: «Se non c’è il mio nome mi candido capolista ovunque».

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