Il corvo amico del santo: Gabriele eseguì una richiesta di Benedetto XVI?

Nel momento in cui si capisce cosa ha fatto papa Benedetto, quell’11 febbraio 2013, tutto il resto si sblocca per metodo logico-induttivo. Un criterio fuori moda, ma poco importa: i fatti sono cose ostinate.

Come sapete ormai perfettamente, Benedetto XVI pressato a togliersi di mezzo, nel 2013 ha applicato un sistema antiusurpazione pronto da 30 anni lasciandosi porre dai cardinali in sede impedita e scismare qualsiasi papa venisse eletto lui vivente. Per chi volesse ripassare la Magna Quaestio, suggeriamo questi brevi documentari QUI.

Oggi affrontiamo la figura di Paolo Gabriele (1966-2020), il maggiordomo di papa Benedetto passato alla storia come “il corvo”, con un’accezione dispregiativa, tipica del gergo giornalistico-giudiziario.

Così come la nostra inchiesta ha totalmente ribaltato di 180° la mielosa e incoerente narrativa sull’avvicendamento tra papa Benedetto XVI e Bergoglio, anche la figura di Paolo Gabriele, a nostro avviso, dovrà essere totalmente rivalutata: non un maggiordomo instabile e mitomane che tradisce il papa, ma un suo fedelissimo e devoto amico, un sant’uomo che, dietro preciso incarico, fin dal 2006 copiava e custodiva documenti importanti e a un certo punto, come da programma, ha compiuto un servigio di utilità fondamentale richiestogli dal Papa. Ha così messo a repentaglio la propria vita, famiglia e reputazione, per servire la Chiesa di Cristo.

Siamo giunti a tale conclusione esclusivamente per metodo logico-induttivo e analizzando gli scritti di papa Benedetto in tipica “restrizione mentale larga” (vulgo “codice Ratzinger”): uno stile comunicativo tratto dalla teologia morale che consente di dire la verità in modo logicamente sottile, affinché solo chi ha orecchie per intendere possa capire. QUI

Innanzitutto l’aspetto strategico. Come sappiamo, la Declaratio fu scritta in modo da “indurre in tentazione” i nemici del papa a scambiarla per un atto di abdicazione. Questa doveva poi essere scoperta, nella sua vera essenza, (annuncio auto-avverante di sede impedita) solo dopo un certo tempo, quando la chiesa gnostico-massonica degli usurpatori si fosse debitamente manifestata.

Un congegno antiusurpazione “a orologeria” che era stato preparato fin dal 1983 insieme a Giovanni Paolo II dopo la consegna del dossier di Mons. Gagnon sulla massoneria ecclesiastica QUI.

Tuttavia, prima di azionare questo piano di emergenza, c’era un passaggio propedeutico da attuare: papa Benedetto doveva trovare un modo alternativo di far arrivare sia alla stampa che alla magistratura vaticana tutto il materiale documentario sull’ammutinamento subìto che, da un lato avrebbe reso gradualmente comprensibile le motivazioni del suo piano da parte del pubblico (come è puntualmente avvenuto), dall’altro sarebbe servito, alla fine, per un’indagine canonica prevista nella fase conclusiva dell’operazione, con l’applicazione della costituzione apostolica Universi Dominici Gregis QUI in base alla quale i cardinali HANNO IL DOVERE di far rispettare i diritti della Sede apostolica (art. 3).

Bisognava dunque che il mondo potesse leggere la documentazione sul fatto che il Papa era stato di fatto esautorato e minacciato di morte, come da quel “Mordkomplott” portato alla luce dal collega Marco Lillo de Il Fatto quotidiano QUI.

Tuttavia, se Benedetto XVI stesso, in prima persona, avesse denunciato tale inquietantissimo contesto, quale credibilità avrebbe avuto poi la Declaratio come spontaneo atto di dimissioni, compiuto per stanchezza fisica, di lì a pochi mesi? Nessuna. Ve lo immaginate? In maggio, papa Ratzinger denuncia pubblicamente che non lo obbediscono più, che gli vogliono fare la pelle, e a febbraio si dimette in modo improvviso e non concordato coi cardinali… Il piano non avrebbe funzionato. Nemmeno la magistratura vaticana doveva sapere direttamente dal Papa, altrimenti avrebbe intralciato quel “pomeriggio di libertà” concesso all’antichiesa gnostica per manifestarsi. (Vedasi Ticonio QUI).
Ecco perché bisognava far uscire questi documenti in un modo DIVERSO, che lasciasse Benedetto XVI apparentemente estraneo alla vicenda. Ci voleva una figura laterale, ma fidatissima, un amico, un vero uomo di Dio che si sacrificasse figurando come autore di un pazzoide trafugamento-copia di documenti, e che li passasse ai giornalisti custodendoli incautamente a casa e poi, di conseguenza, facendosi arrestare, desse modo alla magistratura vaticana di acquisirli e protocollarli in blocco.

Paolo Gabriele era l’uomo ideale: persona molto pia, discreta, fedele fino all’inverosimile, parlava il tedesco, poteva avere credibilmente accesso ai documenti e il mondo avrebbe creduto che li avesse sottratti in un raptus di sacro zelo. Certo, da parte sua, Gabriele ha avuto un coraggio incredibile e una dedizione suprema alla Chiesa per poter accettare di fare la parte del “corvo”, almeno nell’accezione dispregiativa unanimemente percepita dal mondo. 

Infatti, dopo meno di tre mesi di carcere, guarda caso, papa Benedetto perdona Paolo Gabriele, gli concede la grazia, e lui torna a lavorare a 2 km dal Vaticano, all’ospedale Bambin Gesù, con regolare stipendio. Non è un po’ strano?

E così, quanto il Papa scrive in “Ultime conversazioni”, libro intervista di Peter Seewald (2016) in merito alla vicenda, appare del tutto rivelativo. Infatti, gli interventi dedicati a Paolo Gabriele, sono scritti in puro “codice Ratzinger”-restrizione mentale larga.

Nelle righe che seguono, il riferimento agiografico su San Benedetto e il corvo offre l’iniziale chiave interpretativa: in tutto lo scritto, Benedetto XVI non pronuncia alcun giudizio univocamente negativo o moralmente critico verso Paolo Gabriele. Come sempre avviene, papa Ratzinger si appoggia su un senso comune che porta il lettore ad accogliere di primo acchito una grossolana versione mainstream, ma dal punto di vista linguistico e logico lascia aperta una seconda lettura, più sottile, ma del tutto lecita. Tutto questo NON E’ CASUALE e non potrebbe mai esserlo, bensì è attentamente costruito.

Abbiamo sottoposto l’interpretazione che leggerete di seguito, a due linguisti. Il dantista prof. Alessandro Scali ci risponde: “La Sua ricostruzione a me appare convincente, e comunque perfettamente allineata e congruente con tutte le sue precedenti”.

Il filologo prof. Gian Matteo Corrias scrive: “La chiave agiografica, da Lei brillantemente individuata nel riferimento al corvo di San Benedetto, dischiude il secondo livello di lettura di uno snodo particolarmente delicato. Nelle risposte di Benedetto XVI è infatti ravvisabile, come indubbiamente accade in altri passaggi del medesimo libro-intervista, la messa in opera del solito meccanismo allusivo e anfibologico che costituisce la cifra comunicativa del pontefice “ritirato”, dalla Declaratio in poi. Ne risulta un tassello, l’ennesimo, che perfettamente si inserisce nel quadro indiziario da Lei ricostruito con acribia, quadro che, a sua volta, ne risulta significativamente confermato”.

Ed ora, analizziamo insieme le domande/risposte di Peter Seewald-Benedetto XVI in “Ultime conversazioni”.

Seewald: D. Come il suo santo patrono, san Benedetto, anche lei ha trovato sulla sua strada un «corvo», come è stato chiamato il suo aiutante di camera, Paolo Gabriele, che ha sottratto documenti confidenziali. Quanto la colpì questa storia?

[NOTA: Il corvo, secondo l’episodio agiografico citato da S. Gregorio Magno, era AMICO di san Benedetto, mangiava alla sua tavola ed ESEGUÌ L’ORDINE DEL SANTO di portare via e gettare in un luogo inaccessibile un pane avvelenato che gli era stato inviato in dono da un prete invidioso che lo odiava,  un impostore che usava l’abito per avere assicurata una buona posizione sociale ed economica, che viveva in modo dissoluto addirittura, guarda caso, dilettandosi di magia e carezzando i culti pagani QUI   ]. 

Benedetto XVI: R. Non mi sono lasciato andare a una sorta di disperazione o di dolore universale. Semplicemente mi è parso incomprensibile. Anche considerando la persona, non riesco a capire come qualcuno possa volere una cosa simile. Con quali aspettative. Non riesco a penetrare la sua psicologia.

NOTA: Nessun giudizio negativo sul maggiordomo. Si può leggere così: “Non mi sono affatto disperato come tutti. Considerando la persona di Paolo Gabriele, (marito e padre, con un buon lavoro) non riesco a capire come possa aver accettato, a suo tempo, di fare una cosa simile, per la quale un giorno avrebbe avuto tutto da perdere: onore, reputazione, amicizie”].

D. Alcuni pensano che una cosa simile sia stata resa possibile dalla sua fiducia cieca.

R. Bè, Gabriele non l’ho scelto io. Non sapevo nemmeno chi fosse. È passato attraverso il sistema, attraverso tutti gli esami. E sembrava l’uomo giusto sotto tutti gli aspetti.

[NOTA: Gabriele fu infatti scelto da Giovanni Paolo II. “Non lo conoscevo, ma è passato nel sistema antiusurpazione dopo che era stato esaminato bene. Era sembrato a Giovanni Paolo II l’uomo giusto per questa operazione e io mi sono fidato ciecamente”. Probabilmente il ruolo di Gabriele era stato deciso già da anni, dato che in casa sua furono trovati documenti fotocopiati vari anni prima].

D. Si dice che la conoscenza degli uomini in genere non sia il suo punto forte.

R. (Ride.) Sì, lo ammetto. D’altra parte sono molto cauto e prudente perché ho fatto esperienza dei limiti della conoscenza degli uomini in altri e spesso anche in me stesso.

[NOTA: Nessun riferimento a Gabriele, la considerazione è generica: “Sono stato cauto e prudente affidando questo delicato compito di custodia dei documenti a Gabriele perché ho fatto esperienza che difficilmente ci si può fidare degli uomini”].

D. Come considerò il caso dal punto di vista legale?

R. Per me era importante che proprio in Vaticano fosse garantita l’indipendenza della giustizia, che il monarca non dicesse: adesso me ne occupo io. In uno Stato di diritto la giustizia deve fare il suo corso. Il monarca, poi, può concedere la grazia. Ma questa è un’altra storia.

[NOTA: “Per me era importante che la giustizia del Vaticano fosse indipendente e che facesse il suo corso, (raccogliendo i documenti e per poi punire i colpevoli). Non potevo essere io stesso (io, il monarca a denunciare quei fatti, altrimenti non avrei potuto attuare credibilmente il ritiro in sede impedita. Io poi ho graziato Paolo Gabriele, ma questa è un ALTRA storia, diversa rispetto a quella che si è raccontata”. Papa Benedetto non ha “perdonato Gabriele nonostante il misfatto”, ma “l’ha liberato dopo un servizio resogli”].

D. Il suo ex aiutante di camera fu condannato a diciotto mesi di carcere per furto aggravato il 6 ottobre 2012. Cominciò a scontare la pena il 25 ottobre in Vaticano. Lei gli fece visita il 22 dicembre, lo perdonò e gli condonò il resto della pena. Gabriele fu rilasciato lo stesso giorno. Che cosa le ha comunicato durante quella visita?

R. Era scosso per quello che aveva fatto. Non desidero analizzare la sua personalità. È uno strano miscuglio quello che gli hanno messo in testa o si è messo in testa da sé. Ha compreso che non doveva agire così, che si era semplicemente messo su una strada sbagliata.

[NOTA: “Sulla strada sbagliata”, a cosa si riferisce? Al fatto che Gabriele aveva trafugato dei documenti o al fatto di essersi fatto mettere in testa qualche strano miscuglio dopo la sua carcerazione? Il periodo può essere interpretato anche così: “Ho trovato Gabriele scosso per quello che aveva fatto: aveva paure, dubbi, ripensamenti.  Uno strano miscuglio quello che gli avevano messo in testa o si era messo in testa da solo. Parlandoci, ha compreso che non doveva agire così, che non doveva mettersi strane idee in testa: non ce n’era motivo perché aveva fatto bene e l’avrei presto graziato”.

D. C’è chi si è domandato se fosse possibile per un aiutante di camera compiere da solo un’azione di tale portata. Che ne pensa lei?

R. I documenti li ha senz’altro sottratti da solo perché non avrebbe potuto averli nessun altro.

[NOTA: Non dice mai “rubare”, che ha una connotazione univocamente negativa, ma “sottrarre”, verbo dalla connotazione morale del tutto anfibologica, dato che si può usare anche in modo positivo (“sottrarre qualcuno al pericolo, salvare, togliere dalla vista”). La risposta si riferisce al solo fatto fisico di sottrarre i documenti, ma non all’ispirazione dell’idea. La frase è del tutto priva di giudizi negativi sull’azione di Gabriele].

D. Ma probabilmente c’erano dei complici, degli amici, che l’hanno incoraggiato.

R. Può essere, ma non lo so. Comunque non li hanno trovati.  

[NOTA: Non hanno mai scoperto che io ero suo amico e che lo avevo incoraggiato. Può essere che io sia riuscito a infondergli coraggio, ma non lo so. Defizione di “complice”: “riferito a cosa o fatto o situazione che favorisce un’impresa, un comportamento, ecc., spec. a proposito di sottili intese affettive”].

D. Per chiarire queste vicende lei aveva istituito una commissione. Il risultato dell’indagine è un rapporto di ben trecento pagine. Non l’ha scossa vedere che in Vaticano ci sono così tanta invidia, gelosia, carrierismo e intrighi?

R. Be’, è risaputo. Devo essere chiaro: tutte queste cose esistono, è vero, ma non sono tutto il Vaticano. Ci sono molte persone veramente per bene che lavorano con grande dedizione dalla mattina alla sera. Ne conosco talmente tante che devo dire: bene, bisogna accettare anche questo. In un organismo composto da molte migliaia di persone è impossibile che siano tutte buone. Bisogna ammettere che esistano le une, e questo è molto doloroso, ma non si possono nemmeno ignorare le altre. Sono colpito da quanta gente incontro che è qui perché vuole fare davvero qualcosa con tutto il cuore per Dio, per la Chiesa e per gli altri. Quante brave persone ho trovato qui! Per me questa realtà riscatta tutto il resto e allora dico: così è il mondo! Ce lo insegna il Signore! Nella rete ci sono anche i pesci cattivi.

[NOTA: Nessun giudizio negativo su Gabriele. “La commissione (Herranz) ha rivelato invidia, carrierismo e intrighi, (emersi da Vatileaks) ma per fortuna ci sono anche brave persone come Paolo Gabriele che vogliono fare qualcosa per Dio, la Chiesa e gli altri”. Non è affatto specificato che Gabriele appartenga ai pesci cattivi”].

Come leggete, papa Benedetto non si dimostra affatto addolorato per l’episodio, né deluso o contrariato dal comportamento di Gabriele verso il quale non manifesta alcun univoco giudizio negativo. Le frasi sono costruite sul filo del rigore logico per lasciare aperta sempre una doppia interpretazione. Più di una volta Benedetto XVI affermerà che le sue dimissioni non sono imputabili a Vatileaks, chiaramente perché Vatileaks fu uno strumento funzionale all’operazione-dimissioni.

In merito all’”amico” che potrebbe aver incoraggiato Gabriele, leggiamo in “Ein Leben” di Peter Seewald: “La pubblicazione di Sua Santità fu un eccezionale successo per Nuzzi, ma per il suo migliore informatore, il «Corvo», non segnò altro che la fine. Georg Gänswein si mise a studiare il libro riga per riga, fino a che non si imbatté in un punto illuminante. Comunicò immediatamente le sue impressioni a papa Benedetto, e cioè «che uno di noi è in combutta con questa persona (Nuzzi n.d.r.). Posso esserlo io stesso, oppure il mio collega, il maggiordomo, le Memores Domini o suor Birgit». Sulla strada giusta lo aveva condotto il fac-simile del bilancio annuale della Fondazione Joseph Ratzinger del 30 novembre 2011, che era finito direttamente nell’appartamento papale senza passare per altri luoghi del Vaticano. SOLO IL PAPA E IL SUO SEGRETARIO POTEVANO AVERLO VISTO, nonché l’unica persona che aveva accesso alle loro stanze. Quello stesso martedì mattina, Gänswein convocò la famiglia papale; in mano teneva alcuni originali dei documenti stampati nel libro di Nuzzi. Senza esitazione, parlò al maggiordomo: «Caro Paolo, sospetto fortemente che questi due articoli pubblicati in questo libro siano finiti sulla sua scrivania. Perché solo io e lei ne eravamo a conoscenza. Dal momento che non sono stato io, rimane solo lei». Poiché Gabriele respinse con veemenza l’accusa, a pranzo Gänswein informò il Santo Padre di averlo mandato a casa: «È meglio così, perché di lui non mi fido più»”.

Come leggete, quel documento lo avevano visto solo in tre: papa Benedetto, Gaenswein e Gabriele. Quelli che avevano potuto “farlo finire sulla scrivania di Gabriele” (l’espressione non è casuale) erano solo in tre: Gaenswein nega, Gabriele nega, chi resta?

Naturalmente il Santo Padre era nel suo pieno diritto di fornire le proprie carte a persone di sua fiducia e ha fatto tutto questo per salvare la Chiesa da un colpo di stato. Lui non ha mai mentito. Mai. Siamo noi che non abbiamo capito, per anni.

Paolo Gabriele, da quanto si evince dai fatti e testi riportati, è stato uno dei più fedeli servitori della Chiesa e del Papa, il quale, infatti, “lo amava come un figlio”.

Incredibile come la leggenda di San Benedetto e il corvo si sia rivelata funzionale a far comprendere il ruolo di Gabriele che, stranamente, portava il nome dell’angelo dell’Apocalisse. Ma in questa incredibile, millenaria vicenda, davvero nulla sembra essere per caso.  

Pubblicato da edizioni24

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