Le cantonate sui documenti segreti: così l’infiltrato 21enne ha messo KO il Pentagono

Un’immagine monumentale dissacrata dall’ordinaria pericolosa leggerezza: è quello che sta accadendo in queste ore al Pentagonosancta sanctorum della Difesa di Washington. Sulla fuga di documenti riservati era stata fatta ogni tipo di ipotesi sui nemici interni ed esterni, passando perfino per l’idea di uno Edward Snowden bis. Quello che invece emerge pian piano è una catena di banali errori di comune cialtroneria che, contravvenendo alla prudenza che certi ambienti dovrebbero praticare, si abbatte su uno dei luoghi che nell’immaginario collettivo è fra i più impenetrabili. A mandare in tilt l’intera catena di sicurezza americana il 21enne Jack Teixeira, per gli amici smanettoni “Og”, tecnico informatico in quel di Cape Cod.

Appena due giorni fa era emerso dal Washington Post che la persona responsabile della fuga di notizie e documenti lavorava in una base militare e avrebbe condiviso i file su una chat con una trentina di persona legate a Discord l’applicazione popolare tra i gamer. Quasi ridicolo, se non si trattasse di sicurezza nazionale. Considerando il cordone sanitario che alberga attorno all’edificio stesso del Pentagono (turisti e curiosi vengono braccati anche solo per aver scattato una foto ricordo e obbligati a svuotare le memorie delle loro fotocamere se colti in flagrante), ci si chiede come sia possibile che un addetto ai lavori, dall’interno, possa minare il sistema passando per il mondo dei videogiochi.

Il momento storico all’interno del quale tutto questo accade, aggiunge gravità all’intera vicenda, costringendo la Difesa a chiudersi a testuggine come scrive la Cnn. Come? Limitando l’accesso ai brief quotidiani disponibili ai funzionari del Joint Staff, che riunisce i più alti in grado del dipartimento della Difesa. Molti dei file trafugati, infatti, recavano l’etichetta del J2, il Joint Staff Intelligence, braccio che si occupa di supportare le operazioni militari. Ridotte mailing list, revisionati gli elenchi di accesso ai file riservati, comunicazioni interne sospese, restrizioni temporanee: è così che si lavora in queste ore a Pentagon City.

Il caso Snowden del 2013 aveva fatto scuola, sebbene si trattasse di un progetto con una “levatura” differente. Dieci anni fa l’intero mondo del dipartimento della Difesa era stato sottoposto a una profonda revisione informatica che potesse proteggere da ulteriori emorragie di informazioni. I documenti che invece sono circolati in questi giorni, non sarebbero delle vere fughe informatiche, tantomeno a firma di hacker esperti. Appartengono in gran parte ai briefing book di cui vengono riforniti i funzionari di alto livello. File dunque copiati, stampati e fotografati che hanno subito un percorso analogico prima di finire su Discord. E considerando le decine e decine di persone che potevano avervi accesso o che li hanno maneggiati, le possibilità di fuga risultano davvero infinite.

Mentre la prima guerra social continua a mietere vittime sul fronte ucraino, il problema rischia di ingigantirsi. Perché coinvolge non solo il modus operandi del Pentagono ma anche la lealtà dei suoi funzionari a vario livello. Ma sono le procedure quotidiane a rendere la vicenda paradossale. Ogni giorno, agli alti ufficiali in grado vengono forniti di tablet con le informazioni più recenti. Tuttavia, la Difesa americana, vuoi per praticità che per l’età media dei suoi dipendenti, sembra preferire il file cartacei che, a differenza di Hollywood, non si autodistruggono. Le copie cartacee sono più pratiche: consentono di prendere appunti scritti, sono meglio leggibili per chi deve inforcare gli occhiali e sono impermeabili alle bizze della tecnologia. Enormi raccoglitori di informazioni fanno la spola tra i funzionari di Washington e i loro staff nel bel mezzo di una gran quantità di copie stampate, fotocopie, file copiati e fotografie. Sebbene possa apparire kafkiano che uno dei più grandi Paesi al Mondo venga messo alla berlina per via delle necessità diottriche dei suoi dipendenti, è proprio così che è andata.

Come se non bastasse, a gettare benzina sul fuoco, il fatto di non essersi accorti della falla nel sistema. I file circolavano, infatti, da mesi e questo ha reso ancora più complesso capire come l’amministrazione li avesse persi. Alcuni alti funzionari erano stati avvisati il 6 aprile scorso, nello stesso giorno in cui il New York Times diffondeva la notizia. L’amministrazione Biden ha iniziato, invece, ad occuparsi della vicenda solo dalla scorsa settimana. Nello stesso Paese in cui la National Archives and Records Administration chiede la restituzione di ogni singolo foglio perfino al Presidente, alla fine del suo mandato.

Di fronte a questo caos crossmediale, le fughe non devono sorprendere: questo tipo di file spesso finisce anche in possesso di piattaforme sedicenti OSINT, che non spiegano da dove è stato preso un documento, da chi e perché. E nel tempo, i casi potranno solo che moltiplicarsi, al di là del gradiente di sicurezza utilizzato e della dose di tecnologia utilizzata. Di fronte alla richiesta sul perché nessuno se ne fosse accorto il Pentagono fa spallucce dichiarando “Non possiamo ancora rispondere”, che più che un “no comment” costituisce una resa parziale all’evidenza e all’imbarazzo.

L’altra colpa grave del sistema è quella di sottovalutare la rete. Forse perché controllare il web e le sue articolazioni deep e dark, è davvero impossibile. John Cohen, ex sottosegretario ad interim per l’intelligence e l’analisi presso il dipartimento della Difesa, ha infatti più volte dichiarato come Washington non sarebbe in grado di rilevare se una persona o un’entità dovesse pubblicare informazioni riservate o file classificati su forum o social media. Gravissimo nel Paese dei zpentagono Papers.

Funzionari di oggi e veterani del settore ripetono costantemente che, mentre ogni agenzia è responsabile delle indagini sulle violazioni dell’intelligence all’interno dei propri dipartimenti, non esiste nulla di simile per scandagliare il web e i social network. Cia e Pentagono hanno risposto spesso agli attacchi su questo punto, appellandosi alla volontà di non cedere a sistemi orwelliani sui profili personali dei cittadini americani. Una misura per la pace sociale dopo gli anni bui del Patriot Act? Forse. È dunque possibile-e semmai, credibile- che una delle più grandi intelligence del mondo si immoli per il Primo Emendamento al punto da rischiare scivoloni simili? Tutto è possibile. Così, nel bel mezzo della prima vera guerra ibrida della storia, gli Stati Uniti d’America devono correre ai ripari interrogando le sospettate n.1 di questa storia: le fotocopiatrici.

Pubblicato da edizioni24

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