Xi chiana Zelensky: ecco cosa si sono detti

Un “segnale positivo”, sui cui effetti però è difficile fare un pronostico. La telefonata intercorsa oggi tra il presidente cinese Xi Jingping e quello ucraino Volodymyr Zelensky, la prima dall’inizio della guerra, è stata accolta con favore dai leader e dagli analisti occidentali, che però non si sbilanciano nelle valutazioni sull’impatto che può avere. Due mosse, una per parte, comunque sono state fatte subito dopo il colloquio: Zelensky ha annunciato la nomina dell’ex ministro delle industrie strategiche Pavlo Riabkin ad ambasciatore ucraino a Pechino, una carica che era vacante dal febbraio del 2021; la Cina ha annunciato che Xi manderà “in Ucraina e altri Paesi” il Rappresentante speciale del governo per l’Eurasia Li Hui, che per dieci anni è stato ambasciatore cinese in Russia.

“Noi accogliamo con favore la notizia della telefonata, pensiamo che sia una buona cosa. Stiamo dicendo da un po’ di tempo che è importante che il presidente Xi e i funzionari cinesi possano avvalersi della prospettiva ucraina su questa invasione russa illegale e non provocata”, ha detto il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale Usa, John Kirby. “Che possa portare a qualche sorta di movimento significativo per la pace, che sia piano o proposta, non credo che al momento lo possiamo sapere”, ha poi aggiunto il rappresentante di Washington, per il quale il fatto che la Cina possa essere un mediatore di pace dipende da Zelensky, dal momento che un accordo non sarebbe “sostenibile o credibile a meno che gli ucraini e il presidente Zelensky non siano personalmente coinvolti e lo sostengano”

Anche Parigi, attraverso una nota dell’Eliseo, ha fatto sapere che “incoraggia ogni dialogo” che possa “contribuire ad una soluzione del conflitto in Ucraina”, in modo “conforme agli interessi fondamentali” di Kiev e al “diritto internazionale”. Anche per Stefano Stefanini, ambasciatore, già rappresentante permanente dell’Italia presso la Nato, oggi Senior Advisor dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, la telefonata “è un buon segnale” e un indicatore di “attivismo” da parte della Cina, che “può essere importante in una prospettiva di rilancio della diplomazia, ma è estremamente prematuro pensare possa portare alla fine della guerra”.

“Ma è solo il primo passo di un percorso diplomatico che sarà abbastanza lungo”, ha precisato l’analista in un colloquio con l’agenzia di stampa Adnkronos, sottolineando che una telefonata “non fa della Cina un Paese neutrale”, perché se “da una parte c’è un colloquio telefonico, da un’altra c’è un rapporto molto stretto con la Russia”, c’è una “amicizia senza limiti” con Mosca che Pechino “vuole mantenere”.

Mosca, attraverso la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, ha commentato la telefonata lodando la disponibilità di Pechino a compiere sforzi per un processo negoziale sull’Ucraina, attaccando quello che ha definito “il rifiuto di Kiev ad ogni iniziativa” e rivendicando invece “un’ampia consonanza dei nostri approcci di principio” con le proposte del piano di pace cinese. Una presa di posizione rispetto alla quale Stefanini ha sottolineato che “non sappiamo in che misura ci siano state consultazioni tra Russia e Cina prima della telefonata. È molto probabile che la Russia sia stata informata che la telefonata ci sarebbe stata, non necessariamente di quello che Xi avrebbe detto a Zelensky”.

Quello tra Xi Jinping e Volodymyr Zelensky è il primo colloquio telefonico tra il leader cinese e il presidente ucraino dall’invasione russa dell’Ucraina, da 14 mesi. Zelensky ha parlato di una telefonata lunga e significstiva. Il contatto tra Xi e Zelensky era particolarmente atteso dopo la visita del 20 marzo di Xi a Mosca, dopo quella saltata di Antony Blinken in Cina, dopo il mandato di arresto della Corte penale internazionale contro Putin. I media cinesi descrivevano la visita a Mosca del leader cinese come un “viaggio di pace”. E Zelensky aveva sollecitato il contatto con Xi, che anche oggi è tornato a insistere su “dialogo” e “negoziati” come “unica via d’uscita” per porre fine al conflitto in Ucraina.

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