Verbali Cts, Giuseppe Conte tradito dall’intervista al Fatto Quotidiano: su Alzano e Nembro le brutte figure si susseguono

Giuseppe Conte non si è solamente «inventato» il celebre lockdown del Paese intero contro il parere del Comitato tecnico scientifico (notizia di ieri), ma ha anche ignorato il proposito urgentissimo di istituire la famosa zona rossa ad Alzano e Nembro, in Val Seriana, limitandosi appunto a un più annacquato lockdown in Lombardia quasi una settimana dopo: e contribuendo a trasformare quella zona in uno dei focolai di covid peggiori del mondo.

Mancava, a dimostrarlo, una pezza d’appoggio: ma l’ha pubblicata ieri l’Eco di Bergamo mettendo nero su bianco uno stralcio del verbale della riunione in cui gli esperti governativi proposero la zona rossa. 

Quel giorno, 3 marzo, dopo aver sentito per telefono l’assessore lombardo Giulio Gallera, si legge nel verbale, «Il comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei comuni della zona rossa anche in questi due comuni, al fine di limitare la diffusione dell’infezione delle aree contigue».

Era appunto il 3 marzo, un martedì, e sappiamo che Conte quel giorno si recò personalmente in via Vitorchiano, alla sede della Protezione Civile. Ma sulle sue consapevolezze, o paure, o confusioni, lo stesso Conte ha cambiato più volte versione.

La versione è del 2 aprile scorso: rilasciò un’intervista a Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano e disse: «La sera del 3 marzo il Comitato tecnico scientifico propone per la prima volta la possibilità di una nuova zona rossa per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro. Ormai vi erano chiari segnali di un contagio diffuso in vari altri comuni lombardi, anche a Bergamo, a Cremona, a Brescia Chiedo così agli esperti di formulare un parere più articolato: mi arriva la sera del 5 marzo e conferma l’opportunità di una cintura rossa per Alzano e Nembro». 

La seconda versione ci risulta che l’abbia data il 12 giugno, interrogato dal pm dell’inchiesta che indaga sulle mancate zone rosse Il 12 giugno, interrogato nell’inchiesta che indaga sulla mancata zona rossa, risulta che abbia ha detto al pm: «Io quel verbale non l’ho mai visto». Parla di quello del 3 giugno, sul quale chiese un approfondimento. La terza versione è di ieri sera, data in conferenza stampa: «Del verbale del 3 marzo venni a conoscenza il 5 marzo». Poi ha detto un po’ tronfiamente: «Il governo si è assunto sempre la responsabilità politica delle proprie decisioni, non ritenendo mai di dover delegare ad altri, agli scienziati, questa responsabilità». Conte ha centrato esattamente il problema: la responsabilità della nascita di uno dei focolai di covid peggiori del mondo non gliela toglie nessuno. Quindi non importa se chiese un parere al Comitato e non lo lesse, se lo apprese ma non vide il relativo verbale, il 3 o 5 aprile: conta che, in tempo, utile, non istituì niente e non fece niente. 


Il governo decise di non procedere. Dal 3 al 9 marzo, nessuno mosse un dito. In Regione probabilmente non volevano chiedere il provvedimento per primi lasciando la patata bollente a Conte: ma Conte non la toccò neanche, la patata. E così furono persi giorni preziosissimi, con un weekend soleggiato e maledetto in cui decine di migliaia di Lombardi affollarono le stazioni sciistiche e non solo: anche le stazioni dei treni. Poi gli ospedali della Bergamasca furono presi d’assalto, i Pronto soccorso riempiti all’inverosimile, 

Una settimana cruciale e buttata via, in cui il Comitato scientifico aveva già chiarito che non c’era un minuto da perdere. Troppo tardi per Alzano e Nembro, a dispetto del numero dei malati e della vicinanza dei due paesi da Bergamo, città in cui peraltro fioccavano iniziative tipo «Bergamo non si ferma» e addirittura uno specifico «La Val Seriana non si ferma». Mentre la progressione del Covid sembrava inarrestabile, le denunce pubbliche e le richieste di aiuto dagli ospedali bergamaschi si moltiplicavano: Confindustria pochi giorni prima aveva pubblicato il video «Bergamo is running» rilanciato dal sindaco Giorgio Gori: ma era l’intera classe dirigente a invocare la modalità «riapriamo». 

La Regione Lombardia a dire il vero invocava misure più restrittive, ma in qualsiasi caso non avrebbe potuto istituire una seria zona rossa senza l’aiuto dello Stato: anche perché serviva l’esercito.

Con l’appoggio dello Stato, per istituire la zona rossa di Codogno e blindare dieci paesi del lodigiano, erano state sufficienti 24 ore: era bastata l’ordinanza firmata dal presidente della Lombardia Attilio Fontana e dal ministro dalla Sanità Roberto Speranza.

Dal 27 febbraio appariva evidente che in provincia di Bergamo qualcosa stava andando come peggio non avrebbe potuto: settantadue nuovi casi di positività, Nembro era il quarto comune più colpito della Lombardia alla pari con tre già in zona rossa. Cronaca di migliaia di morti annunciate.

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