Verbali come gogne: diatriba sullo stop

By Luca Fazzo

E adesso raccontare sui giornali le indagini giudiziarie diventa davvero difficile. Nella riunione di mercoledì scorso, un po’ a sorpresa, il Consiglio dei ministri vara il decreto che restringe ulteriormente le norme sulla pubblicazione degli atti di inchiesta durante la fase delle indagini preliminari. A venire colpita dal divieto di stampa è l’atto giudiziario cui da sempre e con maggiore assiduità i giornalisti attingono per riferire quanto accade nei palazzi di giustizia: l’ordinanza di custodia, il vecchio mandato di cattura. Alle progressive restrizioni varate negli ultimi tempi, l’ordinanza di custodia era scampata, anche per le pressioni dei sindacati dei giornalisti. Anche le intercettazioni telefoniche e ambientali riportate al suo interno erano rimaste coperte dal diritto di cronaca. Ora invece stop. Sia dell’ordinanza che delle intercettazioni si potrà riferire il contenuto, ma senza trascriverlo testualmente.

Il governo ha varato il decreto sulla base della legge di delega varata dal Parlamento tra il dicembre e il febbraio scorsi, che recepiva la normativa europea sulla presunzione di innocenza. L’obiettivo era chiaro: mettere un argine alla giustizia-spettacolo e alla gogna mediatica, impedire che accuse ancora da dimostrare venissero presentate come prove conclamate, stoppare la divulgazione di intercettazioni spesso irrilevanti e legate alla sfera privata degli indagati. In quell’occasione sia la Camera che il Senato, con il voto favorevole della maggioranza e dei centristi, avevano approvato l’emendamento alla direttiva firmato da Enrico Costa, deputato di Azione!. che disponeva paletti ancor più rigidi.

Così mercoledì il Consiglio dei ministri dà il via alla norma: viene modificato l’articolo 114 del codice di procedura penale «prevedendo il divieto di pubblicazione del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finchè non siano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare». Il decreto, nascendo da una delega parlamentare, non avrà bisogno di ratifica delle Camere: verrà vagliato dalle commissioni Giustizia ma il parere non sarà vincolante, e il governo potrà andare avanti per la sua strada.

Enrico Costa non nasconde la sua soddisfazione, e rivendica la civiltà della norma: «Le ordinanze di custodia cautelare contengono solo le accuse; la voce della difesa non c’è», dice. «È evidente che una persona schiacciata da un simile ‘peso’ reso pubblico con centinaia di pagine di motivazioni, quand’anche ottenesse, dopo settimane, l’annullamento o l’archiviazione non riuscirebbe a capovolgere il racconto».

Prevedibili le reazioni sia delle opposizioni che dei sindacati dei giornalisti. Filippo Sensi del Partito democratico dice che «il governo ci riprova con il bavaglio ai giornalisti», mentre il segretario della Federazione nazionale della stampa, Vittorio Di Trapani, dice che la norma «non ha nulla a che vedere con il garantismo» ed è «un piacere ai potenti che vogliono l’oscurità e ai colletti bianchi». Sono allarmi ricorrenti, anche se a suo tempo anche governi di sinistra avevano ristretto sensibilmente gli spazi per il diritto di cronaca giudiziaria. Nel 2017 il ministro Pd della Giustizia, Andrea Orlando, aveva introdotto la norma che salvava le ordinanze di custodia dal divieto di pubblicazione integrale.

Ora, col «decreto Costa», scatta il divieto: col rischio che siano i cronisti giudiziari a interpretare e a raccontare a modo loro quanto finora i lettori potevano leggere direttamente dagli estratti del provvedimento di custodia. Certo, il divieto cessa con la fine delle indagini preliminari: ma con i tempi attuali della giustizia, per sapere di cosa è accusato esattamente un indagato si rischia di aspettare anni.

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