Ue, la Corte di giustizia entra a gamba tesa: “Giusto negare fondi europei a Ungheria e Polonia”. Ma Orban.si straccia le vesti da dosso

La Corte di Giustizia dell’Ue ha respinto il ricorso di Ungheria e Polonia contro il meccanismo di condizionalità che lega l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto. Il governo di Viktor Orban e quello guidato da Mateusz Morawiecki chiedevano di annullare il regolamento che consente all’Unione di sospendere i pagamenti provenienti dal bilancio europeoagli Stati membri restii a cedere quote di sovranità nazionale su materie come giustizia e istruzione. La Commissione europea, incaricata di attivarlo, aveva accettato in accordo con i 27 di aspettare la decisione della Corte prima di agire. Oltre a sostenere la violazione del principio della certezza del diritto, Ungheria e Polonia puntavano le proprie chance di successo sull’assenza di un’adeguata base giuridica nei Trattati e sul superamento dei limiti delle competenze dell’Unione.

Argomenti tutt’altro che infondati. Tanto più se si considera che in Ungheria e in Polonia esistono ed operano liberi Parlamenti abitato da rappresentanti liberamente eletti. E si può fare opposizione a Orban e a Morawiecki. E questo spiega la sentenza double face della Corte. Che da un lato stabilisce che il rispetto dei valori fondativi della Ue non è un obbligo cui sottoporre uno Stato candidato ad aderire all’Unione (e dal quale potrebbe sottrarsi in seguito alla sua adesione) e, dall’altro lato, trasforma il bilancio Ue in uno strumento di pressione per ottenere dagli Stati la rinuncia a quote di sovranità nazionale. Una rinuncia, ovviamente, non spontanea ma frutto di una possibile ritorsione di natura economico-finanziaria.

Pudicamente, si chiama condizionalità orizzontale. Da oggi, secondo i giudici Ue, tale meccanismo rientra nella competenza, conferita dai Trattati all’Ue, di stabilire «regole finanziarie» relative all’esecuzionedel bilancio dell’Unione. Ma Orban non e bolla come «politica» la sentenza sull’appellodi Ungheria e Polonia. I diritti, a suo giudizio, non c’entrano nulla. Lo definisce un «argomento di facciata». E spiega: «La sentenza di oggi è un attacco contro la legge per la protezione dei minori ungheresi che ha come obiettivo quello di lasciare le attività Lgbtq fuori dalle scuole, di proteggere i bambini dalla propaganda nell’educazione sessuale. E garantire che le decisioni che riguardano l’educazione dei figli rimangano solo diritto dei loro genitori».

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