Trump, il re delll’iperbole capace di rialzarsi da ogni fallimento

By Gian Micalessin

«Truthful hyperbole», un’iperbole veritiera. Così Donald Trump descrive il proprio modo di parlare e far politica. Ma la vera iperbole è la sua vita. Da magnate e da politico. Una vita consumata sulle montagne russe di successi e fallimenti, di fango e resurrezione. Perché The Donald non è né un imprenditore, né un politico. È innanzitutto un imprendibile fenice. Un animale pronto a rinascere dalle proprie ceneri e a trasformare disastri e cadute in nuove ripartenze.

Per capirlo bastano i monumenti alla sua carriera d’imprenditore. Il primo è il Commodore Hotel comprato a 30 anni grazie all’eredità del padre. Il secondo è la Trump Tower, il grattacielo eretto a propria immagine e somiglianza nel cuore di Manhattan. Due simboli trasformatisi in rovinosi fallimenti finanziari. Seguiti però da inattese redenzioni. In politica non è da meno. E non solo per aver ribaltato l’immagine di un Partito Repubblicano conosciuto, un tempo, come l’immutabile Gop, the Great Old Party, il Grande vecchio Partito. Per capirlo bastano tre episodi e tre immagini destinate a consegnarlo alla storia. La prima risale all’ottobre 2020. Quel giorno un Trump pallido e corrucciato avvolto in un pastrano blu che sembra la sua bara divora a lunghe falcate l’entrata del Walter Reed Hospital. Ha una febbre da cavallo e un Covid che gli ruba ossigeno e fiato. Per chi biasima la repulsione con cui guarda a mascherine, terapie e vaccini è la sua nemesi.

Ma Donald è pronto a trasformarla in vittoria. Due giorni dopo convoca la scorta, monta sul Suv blindato fatto arrivare davanti all’ospedale e ordina un giro intorno all’edificio per salutare i sostenitori in attesa. La stampa liquida il gesto come l’ennesima follia e condanna un presidente pronto mettere a rischio gli agenti costretti a montare sul Suv.

Ma per i suoi ammiratori quell’atto di forza è la vittoria sul virus. Il giro dell’ospedale è solo il prologo di una sceneggiatura che Trump conclude il 10 ottobre quando, a meno di un mese dalle presidenziali del 2020, si affaccia senza mascherina dal balcone della Casa Bianca per salutare con uno «Sto bene» i sostenitori pronti a celebrare, rigorosamente senza mascherina, la sua resurrezione. Una messa in scena chiusa da tre messaggi politici. «Stiamo producendo terapie potenti… il vaccino arriverà molto presto… la nostra nazione sconfiggerà il virus cinese».

Al pari della malattia anche gli affondi inferti da giudici e magistrati diventano trampolini da cui spiccare nuovi voli. Su questo fronte caduta e resurrezione sono simboleggiate da un’altra immagine storica. È la foto segnaletica scattatagli il 25 agosto 2023 quando Fani Willis, procuratrice distrettuale di Fulton in Georgia, lo convoca nel supercarcere della Contea per elencargli i 13 capi di imputazione destinati, in teoria, a distruggerne la carriera politica. È un trattamento mai riservato a nessun ex presidente. Anche perché l’imputazione comprende reati come cospirazione e violazione della legge anti racket. Una berlina perfezionata dalla diffusione della foto segnaletica in cui Trump regala all’obbiettivo uno sguardo assassino. Il tutto accompagnato dal numero di archiviazione P01135809 e dai suoi connotati fisici «maschio bianco, alto 1,92 cm per 97 chili, capelli biondi, occhi blu». Una prassi da criminale comune che il magnate, arrivato davanti al carcere alla testa di un convoglio di limousine, trasforma in manifesto elettorale. La foto stampata su magliette gadget e poster elettorali diventa un autentico santino simbolo della propria persecuzione. Il tutto mentre a finire sotto inchiesta a causa delle procedure con cui ha costruito le accuse a Trump è, proprio, la procuratrice Fani Willis.

E a confermare la sua dote di immortale fenice s’aggiungono, sabato 13 luglio, le immagini dell’attentato di Butler in Pennsylvania. Quel giorno un proiettile accarezza l’orecchio di Trump risparmiandolo per pochi centimetri. Pochi secondi dopo The Donald è già in piedi pronto a sottrarsi all’abbraccio delle guardie del corpo per alzare il pugno sotto la bandiera e gridare «fight fight fight» «combattere combattere combattere». Una gesto diventato il simbolo dei repubblicani Maga (Make America Great Again). Un gesto che solo un veterano della sopravvivenza poteva interpretare con tanta spavalda presenza di spirito.

Un gesto con cui The Donald abbatte un Joe Biden costretto, solo una settimana dopo, a cedere il posto a Kamala Harris. Per The Donald trasformatosi da sfidante più giovane in nuovo grande vecchio delle presidenziali quel momento non è certo una vittoria.

Da quel giorno ha dovuto vedersela con una donna di 28 anni più giovane decisa a conquistare non solo il voto femminile, ma anche quello di neri e ispanici (tutte le categorie da cui poi è stata abbandonata). Un rovescio inatteso che Trump è riuscito, anche stavolta, a trasformare in vittoria.

Pubblicato da edizioni24

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