Trattativa Stato-mafia, il teorema Ingroia ha fallito. Assoluzione per Mori, Subranni, De Donno e Dell’Utri

La Corte di Cassazione conferma le assoluzioni “per non aver commesso il fatto” per gli ex-ufficiali del Ros dell’Arma, i generali Mario Mori e Antonio Subranni, il colonnello Giuseppe De Donno e perché “il fatto non costituisce reato” per quanto riguarda il senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, tutti coinvolti dai pm di Palermo nell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia, un teorema su piedi d’argilla portato avanti dall’ex-magistrato Antonio Ingroia e dai colleghi Antonino Di Matteo e Roberto Scarpinato, portato poi in Senato dai Cinquestelle. Sono questi tre i veri sconfitti dai magistrati della Cassazione.

giudici della Sesta sezione penale della Cassazione hanno anche dichiarato la prescrizione per il boss corleonese Leoluca Bagarella e per il medico Antonino Cinà nell’ambito del processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia giacché i giudici hanno riqualificato il reato di violenza e minaccia a un corpo politico dello Stato nella forma del tentativo e, a questo punto, con la riqualificazione la fattispecie del reato è andata in prescrizione.

Molte le reazioni alla sentenza della Suprema Corte che ha spazzato via anni di calunnie, di menzogne e di fango lanciato a secchiate contro i carabinieri e contro il politico di Forza Italia.
Spicca, su tutte, quella della famiglia Borsellino: “si sono persi tanti anni, ora c’è spazio per verità storica“. Non si rassegna neanche di fronte alla sentenza definitiva, l’ex-pm Ingroia: lo Stato si autoassolve, non è un bel segnale per i cittadini, si ostina a dire senza arrivare a scusarsi per gli errori compiuti dalla magistratura.

La verità, come dice il legale di Marcello Dell’Utri, è che “questo processo non doveva neanche cominciare, alla luce di come è finito”.
“La trattativa era insussistente – dice il legale. – E, in ogni caso, Dell’utri era estraneo. Oggi viene riconosciuto un lavoro di questi anni ma non abbiamo mai dubitato che finisse così”.
“E’ stato un periodo durissimo – spiega. – 30 anni di processo che avrebbero fiaccato chiunque. Non abbiamo mai dubitato che dovesse finire in questo modo”.

“Sono parzialmente soddisfatto considerando che per 20 anni mi hanno tenuto sotto processo –  dice, e c’è da capirlo, il generale ex-Ros Mario Mori uscendo dal Palazzaccio dopo la sentenza della Cassazione. – Ero convinto di non avere fatto nulla, il mio mestiere lo conosco, so che se avessi sbagliato me ne sarei accorto”.

Vent’anni di persecuzioni sono tanti, un’immensità, una vita rubata che nessuno potrà mai restituire a Mori.
Nessuno paga per questo, purtroppo.

“Siamo assolutamente soddisfatti perché l’ulteriore passaggio della Corte di Cassazione ha dipanato ogni possibile dubbio in ordine alla totale e assoluta innocenza del generale Subranni“, dice all’Adnkronos l’avvocato Cesare Placanica difensore, insieme al collega Gianluca Tognozzi, dell’ex-ufficiale del Ros. – Già la Corte di Appello aveva assolto dicendo che non c’era un concorso, una volontà di aderire a un fatto criminoso posto in essere da altri, ma adesso la Corte di Cassazione – sottolinea il penalista – con un provvedimento abbastanza raro che è l’annullamento senza rinvio ha chiarito che il generale Subranni andava assolto per non aver commesso il fatto“.

Non nasconde la propria “soddisfazione” il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Teo Luzi. Che, all’Adnkronos, dice: “le sentenze vanno rispettate, sono contento per l’esito e perché si è finalmente arrivati al termine di una lunga vicenda giudiziaria“.

“Non ho letto la sentenza, quindi preferisco non entrare nel merito del processo trattativa – premette Fiammetta Borsellino, figlia minore del giudice Paolo Borsellino. – Però una cosa la voglio dire: c’è chi ha costruito le proprie carriere su questo processo, immeritatamente“.
Una legnata ai  a quei pm palermitani che, con ostinazione, hanno continuato a sostenere, anche di fronte all’insussistenza dei fatti, l’esistenza della trattativa Stato-mafia.

Fiammetta Borsellino pone in evidenza il fatto che “questo processo, come altri prima, sono stati celebrati fuori dalle aule di giustizia, prima ancora che si esaurissero nei tre gradi di giudizio. A prescindere dalla innocenza degli imputati”.

La figlia di Borsellino se la prende, senza mai citarli, con i magistrati dell’accusa. Che sono stati ospiti di numerose trasmissioni televisive. “L’ho trovato un comportamento scorretto che fa male alla società tutta – dice – , è assurdo che tutti conoscano un processo di questo tipo solo perché mediaticamente è stato pubblicizzato, mentre nessuno conosce processi come il ‘Borsellino quater‘”.
“Io mi soffermo sul fatto che prima ancora che finisse l’iter giudiziario – aggiunge Fiammetta Borsellino – sono stati pubblicizzati da chi li aveva in carico, ripeto: prima ancora della fine del processo. E’ un atteggiamento che ho sempre criticato”.
“Poi, è ovvio che la giustizia debba fare il suo corso, ma è deontologicamente scorretto fare una operazione del genere. Ribadisco che su questo c’è chi ha costruite delle carriere, sul nulla. Su processi che poi si sono dimostrati dei fallimenti. Ne faccio una questione deontologica“.

“Ci sono stati anche giornalisti che sono stati complici di operazioni del genere… c’è tutto un sistema che va dietro al potere“.
Queste persone hanno raggiunto questa fama, che non è fondata su nulla se non sull’autorefenzialità. E il messaggio che si da ai giovani non è positivo. Passa il messaggio che basta scrivere libri o andare in tv per diventare famosi”.
E conclude: “Non commento la sentenza ma il comportamento portato avanti in questi anni, lo ripeto. Una operazione altamente scorretta“.

A parlare per conto della famiglia Borsellino è l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino e marito di Lucia Borsellino, la figlia maggiore del giudice ucciso in via D’Amelio.

“Hanno tentato in tanti modi a spiegare l’accelerazione della strage di via D’Ameliopur di non guardare altrove – dice Trizzino. – Si sono persi tanti anni. È giunto il momento di capire perché non si volle guardare a quello che Borsellino voleva fare e alle terribili difficoltà che incontrò dentro la Procura di Palermo. C’è spazio per una verità storica e per l’accertamento di eventuali recenti depistaggi sul tema del difficile periodo di Borsellino in quella Procura retta da Pietro Giammanco“.

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