Toghe rosse, carriere e politica: dopo il mea culpa di Palamara, si faccia chiarezza

De Il Sistema, il libro-intervista di Luca Palamara curato da Alessandro Sallusti, quasi come se si trattasse di un film, apparterebbe alla categoria legal thriller, interamente girati in tribunale e con protagonisti uomini di legge. Ma anche a quella horror, in cui il confine tra incubo e realtà si assottiglia fino a sparire. In questo caso, l’incubo è quello di poteri terzi per dettato costituzionaleche scendono nell’arena politica con addosso la casacca di una delle squadre in campo. Risultato: il principio della “legge è uguale per tutti” rischia di scolorire in vuoto slogan. A che serve inciderlo nei tribunali se poi non lo sono i magistrati?

Eccola qui la storia in controluce della Seconda Repubblica: governi legittimati dal voto popolare abbattuti come pupazzi al tiro a segno da magistratiauto-incaricati di salvaguardare se stessi e il proprio potere. Silvio Berlusconi ne è la vittima più illustre, ma non l’unica. Magheggi inconfessabili offuscano anche la stella di Renzi e poi quella di Salvini. E sempre perché il Sistema è come l’alta tensione: chi ne tocca i fili muore. Ma è proprio questo il motivo per cui il libro-sfogo dell”ex-leader dell’Anm non può restare confinato tra le iniziative editoriali, quantunque di successo. In senso tecnico-giudiziario Palamara è un “pentito“. E le sue rivelazioni meritano indagini e approfondimenti.

Un Parlamento meno distratto e più consapevole del proprio ruolo starebbe già lavorando all’istituzione di una commissione d’inchiesta per scandagliare l’intreccio tra giustizia e politica nell’ultimo quarto di secolo. Perché non lo fa? Che cosa lo trattiene, la paura di far emergere responsabilità in altissimo loco? È il bello della democrazia. O quella di mettere a nudo il collateralismo con la sinistra giudiziaria di cui ha goduto e gode la sinistra politica? Sarebbe ora. O, ancora, il timore di rimuovere dagli altari giornalisti presunti schienadiritta e in realtà solo scoli di Procura? Magari. Sia come sia, non può essere una convenienza (o una paura) di bottega ad impedire alla verità di farsi strada.

Il Sistema di Palamara è lo spaccato di un Paese malato, in cui il tarlo dell’affiliazione ha corroso persino l’ordine giudiziario. Gli interrogativi che pone sono drammatici e inquietanti. A cominciare dalla fondatezza giuridica della condanna di Berlusconi per finire al processo Salvini? In mezzo c’è la miriade di politici minori, anch’essi eliminati attraverso il tritacarne mediatico-giudiziario. Quale credibilità hanno quelle inchieste e quelle sentenze? Tutto questo si chiama eversione. È il motivo per cui dare seguito al “pentimento” di Palamara è un atto dovuto. Verso i tanti magistrati onesti che il Sistema lo hanno sperimentato sulla propria pelle e i milioni di cittadini scippati della loro sovranità. Insomma, che cos’altro aspettiamo?

Pubblicato da edizioni24

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