Toghe politicizzate? La Pg Francesca Nanni, contro le toghe militanti

No ai pm politicizzati, no alle toghe a caccia del consenso, bando alle ideologie per restituire credibilità alla magistratura, stop ai processi infiniti che si risolvono in una negazione della stessa giustizia.

L’inaugurazione dell’anno giudiziario è l’occasione per una disanima spietata di alcuni dei mali che affliggono la nostra giustizia, ma a firmarla sorpresa non è il Guardasigilli, Marta Cartabia, bensì il Pg di Milano, Francesca Nanni. E l’attacco del magistrato che da un anno guida l’ufficio che fu di Francesco Saverio Borrelli risalta ancora di più se messo a confronto con le tiepide parole del ministro della Giustizia, che in questi giorni di grandi manovre per il Colle sceglie un profilo estremamente prudente, attingendo più alla retorica che al suo retaggio garantista e riformista. E lasciando sullo sfondo temi pure a lei cari oltre che al centro dell’urgenza della riforma dell’ordinamento giudiziario che, nonostante le promesse e i ripetuti annunci, si fa ancora attendere, mentre per le altre riforme già varate si attendono ancora i decreti legislativi di attuazione.

E così, da Reggio Calabria, dove il ministro ieri ha preso parte all’inaugurazione dell’Anno giudiziario, la Cartabia contrasta quasi solo la durata dei processi e «il fardello dell’arretrato», definiti «mali» causa «di una progressiva e dannosa erosione di fiducia». Quanto al Csm, ai suoi scandali e alla riforma che attende, il Guardasigilli ci va con i piedi di piombo, confidando che la riforma arrivi «presto» alle Camere e ribadendo solo che «lo status quo non ha dato buona prova di sé». Il resto è una retorica più consona all’occasione che al profilo del presidente emerito della Corte Costituzionale, tra riforme come modo di «rinforzare e innovare» il sistema giustizia, commemorazione delle vittime di mafia e auspici di «leale collaborazione tra le istituzioni», perché solo una «virtuosa sinergia», spiega il Guardasigilli, è «condizione per risanare la società».

Il tutto mentre a Milano, invece, il Pg Nanni, nel suo intervento, suona tutt’altra musica. Il magistrato di origini liguri, che da Pm a inizio anni 90 si occupò dell’indagine per corruzione nell’organizzazione del Festival di Sanremo, ora le canta anche alla Cartabia, invocando, sulla riforma della presunzione d’innocenza, una «normativa meno restrittiva nelle fasi non coperte da segreto istruttorio». Ma non si tira indietro quando si tratta di puntare il dito contro i mali della sua stessa categoria. Per la Nanni, infatti, «l’agire in base a una ideologia», se si indossa una toga, «può causare danni enormi». Non solo un’affermazione di principio, perché il Pg di Milano suggerisce di far recuperare credibilità alla magistratura attraverso «il rifiuto» di «ogni forma di ideologia, intesa come estremo sistema concettuale e interpretativo che costituisce la base politica di un movimento o di un gruppo sociale», e spiegando che questo «sistema spesso ha fortemente condizionato l’agire in giudizio così come i rapporti fra le diverse categorie impedendo o quantomeno rendendo difficile una valutazione obiettiva delle circostanze». E la politicizzazione, questo «agire deviato» per «interessi personali o di categoria», il pregiudizio anche processuale verso chi viene individuato «come appartenenti ad uno schieramento amico o nemico», anche se riguarda «sparute minoranze» – ma «in posizione di rilievo e mediaticamente esposti» – aggiunge Nanni, rischia di vanificare «il buon operare della maggioranza». Concetti resi anche più chiari dal no alla «ricerca del consenso a tutti i costi» e dal mea culpa sulla lunghezza dei processi: «Una piaga del nostro tempo conclude Nanni – anzi la negazione stessa del servizi che siamo chiamati a rendere».

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