By Pasquale Napolitano
Il giudice Massimo Escher del Tribunale di Catania mette nero su bianco: «L’Egitto non è da ritenersi un Paese sicuro perché è comune la pratica della detenzione preventiva (pre-trial detention) che viene attuata nel corso del processo a carico dell’imputato e dunque prima della pronuncia della sentenza».
Il passaggio è contenuto a pagina 7 della sentenza del 4 novembre scorso, con cui la sezione Immigrazione del Tribunale di Catania ha disapplicato il decreto, varato il 23 ottobre dal governo Meloni sull’elenco dei Paesi sicuri (nei quali figurava anche l’Egitto), annullando di fatto il trattenimento disposto dalla Questura di Ragusa nei confronti di un ragazzo egiziano. In sintesi: secondo la tesi del magistrato di Catania, l’immigrato, irregolare e senza documenti, che tra l’altro non rientrerebbe nelle categorie protette (donne, bambini, disabili), non può essere rimpatriato dalle autorità italiane in quanto in Egitto correrebbe un rischio enorme: finire nella rete della carcerazione preventiva, una pratica che invece in Italia appare molto diffusa e che gli stessi magistrati, colleghi della toga di Catania, utilizzano senza limiti.
Il verdetto siciliano sembra innescare un clamoroso cortocircuito, tutto interno alla magistratura italiana. Da un lato, le toghe di Catania bloccano il decreto del governo, appellandosi a una grave violazione dei diritti della persona che si consumerebbe in Egitto (l’abuso della carcerazione preventiva), dall’altro, sono gli stessi magistrati italiani che «abusano» in Italia dello strumento della detenzione preventiva e che si oppongono a ogni tentativo di riforma di questo istituto. E dunque la conclusione, seguendo l’orientamento del giudice di Catania, sarebbe abbastanza semplice: l’Italia non è un Paese sicuro? I dati dicono infatti che in Europa deteniamo il record di persone messe in cella con una misura preventiva. Al 31 luglio 2024 sono 15mila e 285 le persone sottoposte a carcerazione preventiva in Italia. Un primato. In Europa l’Italia è la maglia nera, seguita da Francia. E in passato, l’Europa ha bacchettato il governo italiano per il triste primato. Oggi però il tema della carcerazione preventiva rischia di trasformarsi in un paradosso per via della sentenza di Catania. Va precisato però, che quello dell’abuso della carcerazione preventiva non è stato l’unico parametro preso in esame dal Tribunale di Catania per definire l’Egitto non sicuro. Certamente fa specie se raffrontato al dato italiano. Che diventa ancor più inquietante se si considera che il periodo medio di carcerazione preventiva in Italia può arrivare a fino a 6 mesi. Con casi limite di persone trattenute agli arresti per quasi un anno e poi completamente assolte. Per citare alcuni esempi: Marco Sorbara, ex consigliere regionale della Valle d’Aosta sottoposto a carcerazione preventiva per 214 giorni e poi assolto da tutte le accuse. Come si può definire tutto ciò? Se non violazione dei diritti della persona. In tutta questa storia c’è un doppio paradosso. Il governo Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio hanno provato ad aprire un confronto per limitare l’uso della carcerazione preventiva in Italia. Il deputato Enrico Costa (ex Azione) ha depositato un ordine del giorno in tal senso.
Chi si è opposto? La magistratura. La stessa che ritiene (e scrive in una sentenza) che l’Egitto non è sicuro perché abusa della carcerazione preventiva. Come l’Italia. Tutto si incastra alla perfezione in una formidabile contraddizione.