[Task Force Takuba] La Missione nel Sahel può avere conseguenze sui nostri uomini e sull’Italia

Un anno fa l’Italia era intenzionata ad affiancare la Francia nella sua missione di contrasto al jihadismo nel Sahel, quella regione dell’Africa sub-sahariana che va dalla Mauritania al Sudan, passando per il Mali, la Nigeria, il Ciad, il Niger e la Burkina Faso.

Oggi l’impegno italiano nella missione militare europea che prende il nome di Task Force Takuba è ampiamente certificato – e messo a bilancio – andando a mostrare i legami che intercorrono tra Roma e Parigi.

Proprio la Francia è stata l’artefice della nascita di questa nuova operazioni, la missione tutta francese che dal 2014 dispiega in quella regione circa 5100 uomini supportati da droni, velivoli da caccia, elicotteri e un totale di 830 veicoli tra blindati, camion e blindati leggeri. Un piccolo esercito che con Task Force Takuba è ora affiancato da soldati italiani, della Repubblica Ceca, dell’Estonia, della Svezia insieme a personale non combattente di Portogallo, Belgio e Olanda a cui si affiancheranno militari appartenenti alle forze speciali di Grecia, Ungheria, Ucraina e Danimarca. Berlino ha invece cortesemente declinato l’invito. Due volte.

Lo scorso 2 aprile il ministro della Difesa francese Florence Parly ha dichiarato la piena operatività del raggruppamento di forze speciali europee, il cui ambito di impiego non è solamente quello di fornire “attività di consulenza, assistenza, addestramento e mentorship a supporto delle forze armate e delle forze speciali locali”, come si legge nel Documento programmatico pluriennale (Dpp) della Difesa pubblicato lo scorso anni in cui la missione veniva finanziata dallo Stato italiano, ma anche “supportare le forze armate e le forze speciali locali nel potenziamento delle capacità di contrasto alle minacce per la sicurezza derivanti da fenomeni di natura terroristica” fornendo gli “enabler per la condotta di operazioni di contrasto al terrorismo, in particolare, mezzi elicotteristici e personale per l’evacuazione medica”. Quindi sostanzialmente si tratta anche di una missione combat, non solamente training. Del resto la finalità della Task Force creata dai francesi è quella di “consigliare, assistere ed accompagnare in combattimento le forze armate maliane”.

L’Italia partecipa a Takuba con 200 unità, 20 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei. Gli italiani si occupano quindi di addestrare le forze locali e di condurre missioni Medevac (Medical Evacuation), ma la costituzione del contingente italiano tradisce la sua vocazione combat, sebbene le forze speciali siano impiegate anche per l’addestramento dei reparti stranieri. Risulta infatti che Roma abbia inviato e invierà in Mali personale proveniente prevalentemente dai reparti speciali dell’Esercito dell’Aeronautica (17esimo stormo incursioni) e, forse, anche dei Carabinieri (i paracadutisti del Tuscania), insieme a quattro elicotteri da esplorazione e scorta AH-129D e 4 elicotteri da trasporto medio (NH-90 e CH-47F).

Il teatro operativo in cui si trovano i nostri soldati è particolarmente attivo: la Francia ha fatto segnare la perdita di 55 uomini dal 2013, anno in cui ha avuto inizio l’operazione Serval (così si chiamava prima di essere rinominata Barkhane), mentre la Task Force Takuba, in circa un anno di operazioni, ha partecipato ad almeno venti scontri a fuoco, pertanto i nostri soldati avranno occasione di partecipare nuovamente a una missione combat dopo la fine della International Security Assistance Force (Isaf) in Afghanistan. Non si sa molto altro dell’impegno italiano nel Sahel: le fonti ufficiali sono alquanto parche di informazioni, ma come riportato dal Foglio e confermato da fonti francesi sempre il 2 aprile scorso, “il dispiegamento delle forze italiane è già cominciato”. Sembra infatti che le prime unità di soldati italiane siano arrivate in Mali già a metà marzo.

A fronte di questa nuova importante decisione di Palazzo Baracchini è bene cercare di capire quanto davvero sia necessario e utile per il nostro Paese affiancare la Francia nel Sahel, da sempre una delle regioni appartenenti alla sua sfera di influenza essendo derivante dai suoi vecchi possedimenti coloniali.

Sicuramente tutta l’area rappresenta un dossier importante per Roma, non solamente perché appartenente alla visione strategica del Mediterraneo Allargato, ma anche per la questione contingente legata al terrorismo e al fenomeno dell’immigrazione incontrollata. Affiancare la Francia nell’Africa sub-sahariana significa poter avere un peso politico nella gestione dei migranti in seno all’Ue ma soprattutto nella stabilizzazione di quei Paesi. Un peso che però va capitalizzato, soprattutto nel continente africano. Roma non deve avere un ruolo subalterno col rischio di farsi scalzare da Parigi una volta terminata la missione riproponendo uno “scenario libico” anche in quel settore.

Il contingente militare inviato è importante numericamente e gli assetti sono particolarmente pregiati. L’impiego di quel personale appartenente alle Forze Speciali (che non sono numericamente grandi) inviato in Mali, sottraendolo ad altri teatri a noi più prossimi – non solo geograficamente – deve pertanto essere ripagato in qualche modo. Secondariamente bisogna cominciare a chiedersi se appoggiarci alla Francia sia davvero una strada fruttifera per il nostro Paese. Parigi, sebbene sia un partner in ambiti fondamentali della Difesa (come ad esempio le costruzioni navali), non lo è dal punto di vista della visione strategica.

La Francia è una nazione a vocazione marittima – come è, o dovrebbe essere, il nostro Paese – che fondamentalmente ha gli stessi interessi dell’Italia nel Mediterraneo (e altrove) e pertanto la sua visione è destinata a collidere, più che collimare, con la nostra. Del resto la nostra visione è già entrata in antitesi con quella francese nel Mediterraneo, e quanto accaduto in Libia è lì a dimostrarlo: Parigi non si è fatta scrupoli di sorta a sostenere il generale Khalifa Haftar in aperto contrasto con al-Serraj, sostenuto proprio da Roma.

Anche la “questione egiziana”, con l’importante commessa militare che il nostro Paese stava per aggiudicarsi e poi si è risolta praticamente solo con le fregate Fremm, dovrebbe far capire come procede l’Eliseo, che ha piazzato un ordine per 30 caccia Rafale a Il Cairo. Per non parlare della Grecia, sempre più nell’orbitadell’ambasciata in funzione del contrasto alla Turchia – nostro partner anche se scomodo – in quanto minaccia gli interessi francesi nel Medio Oriente.

Insomma, se si è deciso di stare a fianco di Parigi nel Sahel, cosa che nell’ottica del controllo sul Mediterraneo Allargato e sulle sorgenti di terrorismo/immigrazione è auspicabile, lo si deve fare “a testa alta” e ottenendone un vantaggio strategico, perché con la Francia abbiamo più punti di contrasto che in comune dal punto di vista geopolitico.

Pubblicato da edizioni24

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