By Sandro Iacometti
No, stavolta non sono i diritti civili compressi, la dittatura del patriarcato, la Costituzione calpestata, la deriva fascista o il genocidio dei palestinesi. Per una volta i sindacati hanno deciso di scendere in piazza per chi gli paga lo stipendio, ovvero per i lavoratori che rischiano di finire in mezzo alla strada (o già ci sono). Le sigle dei metalmeccanici italiani Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm hanno proclamato uno sciopero unitario di tutto il comparto auto e addirittura una manifestazione nazionale a Piazza del Popolo a Roma per il prossimo 18 ottobre. Roba da non credersi.
Se non ora, quando? direbbe l’intellettuale radical chic che ha letto Primo Levi (che a sentire cosa dicono adesso i suoi vecchi fan si rivolterebbe nella tomba) o che sostiene con solenne impegno democratico la causa femminista.
Tutta roba che va a braccetto con le storiche battaglie politico-culturali di Cgil & C. Ma la vera domanda che si fanno i cassintegrati di Mirafiori e Melfi è: perché solo ora? Dopo aver scioperato per tutto tranne che per gli operai, i sindacati si sono finalmente accorti che quei birboni degli Agnelli-Elkann stanno desertificando la filiera dell’automotive.
Ed è strano perché il capo del sindacato rosso Maurizio Landini, che rilascia quasi un’intervista a settimana ai quotidiani di proprietà degli Agnelli-Elkann (Repubblica e Stampa) e che fra l’altro è l’ex segretario della Fiom, non è mai sembrato così preoccupato delle politiche industriali di Stellantis.
Eppure, a sentire i sindacati non è proprio da ieri che le cose si sono messe male. Negli ultimi 17 anni, hanno sottolineato Fiom, Fim e Uilm annunciando la protesta, la produzione di auto in Italia si è ridotta di quasi il 70%, da 911mila a 300mila, delle 505 mila auto vendute in Italia meno della metà è stata prodotta nel nostro Paese (225mila).
E, udite udite, negli ultimi tre anni sono usciti, con esodi incentivati, oltre 10mila lavoratori. Certo, dopo gli annunci choc della Volkswagen, gli allarmi lanciati da Bmw e Mercedes e gli ultimi dati sulle vendite in Europa il disastro è diventato macroscopico. Ma allo sguardo attento di un addetto ai lavori non poteva davvero sfuggire dove saremmo arrivati. Tanto per dire, il segretario della Fim, Ferdinando Uliano (che parla di una «tempesta perfetta che sta invadendo l’Europa»), ogni 6 mesi sforna un rapporto sulla produzione degli stabilimenti Stellantis, segnalando i drammatici e inarrestabili cali.
Perché solo ora ritrovare una posizione unitaria tra le sigle? Perché solo ora iniziare a mettere in discussione gli effetti nefasti dei diktat Ue sull’auto elettrica? Perché solo ora dare vita ad una protesta nazionale?
Sarà forse un caso che la conferenza stampa dei sindacati si è tenuta nella sede della Fiom, a Corso Triestre. Ma la sensazione è che la crociata intrapresa da tempo da Cgil e Uil contro il governo abbia reso tutto più difficile. Per carità, le sigle ieri se la sono presa anche con Palazzo Chigi. La realtà, però, è che la battaglia sull’auto per una volta costringerà i sindacati a solidarizzare col centrodestra, che sull’auto elettrica e sulle delocalizzazioni di Stellantis dice le stesse cose. E Landini & C. dovranno puntare il dito contro una società che, piaccia o no, con i suoi giornali rappresenta un pezzo importante dell’opposizione. Ma ai lavoratori chi glielo spiega?