Si chiude in farsa il diktat della sinistra su Italo Balbo. La Difesa cancella il suo nome dall’aereo di Stato

Nicola Fratoianni (chi è costui?) ordina, il ministero della Difesa(ah, quanti don Abbondio in divisa) esegue.E cancella il nome di Italo Balbo bda uno degli aerei della flotta di Stato. Pensate un po’ a come siamo ridotti: basta un qualsiasi compagnuccio di periferia a far cambiare idea ad un intero dicastero. Ma tant’è: l’Italia brulica di sessantottini in calore, di predicatori non praticanti e di firmaioli in cerca di un appello da lanciare. Fratoianni non è neppure tutto questo, è un senza storia.

Sta a capo della Sinistra Italiana per gentile concessione di Nichi Vendola, ma si vede a occhio nudo che non sembra destinato a lasciare traccia di sé. Da qui la scelta di trasformarsi nel più zelante tra gli acchiappafantasmi nostrani. Ora è la volta di Italo Balbo, di cui forse ignora tutto tranne la sua fede fascista. Ma tanto gli basta e avanza per lanciare anatemi nella folle gara della cancel culture all’italiana. D’altra parte, qualcosa Fratoianni deve pur inventarsi per giustificare politicamente la propria esistenza in vita. Il problema, infatti, non è lui ma chi gli accorda udienza, consentendogli di cantare vittoria in un tweet.

«Bene retromarcia del governo – vi si legge -, evitata figuracciainternazionale all’Italia e ad alte cariche dello Stato. Ora vogliamo sapere chi ha avuto la bella pensata di dedicare un aereo ad un gerarca fascista come Italo Balbo». Una vera capra, nel senso sgarbiano del termine, questo Fratoianni. Non sa, come pure ha ricordato l’ex-ministro della Difesa Ignazio La Russa, che aeronautica moderna e Balbo sono praticamente una cosa sola, visto che l’ha fondata lui. Di pi§: alla luce della sua vita e soprattutto della sua morte, intitolargli un velivolo di Stato sarebbe stato un atto dovuto. Non meraviglia che ad impedirlo abbia provveduto il mix tra l’ignoranza di un avanzo comunista come Fratoianni e la vigliaccheria di certi ministeriali, probabilmente con greche e stellette. È questa l’Italia, purtroppo.

Pubblicato da edizioni24

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