La testata a Roby Baggio in un momento di particolare tensione, le telefonate con l’avvocato Gianni Agnelli, la magia di Italia 90. Era il marzo del 2023 e Totò Schillaci, scomparso oggi ad appena 59 anni dopo una lunga lotta contro un tumore al colon e stroncato da una polmonite, si raccontava a SportWeek in una delle sue ultime interviste.
Il bomber siciliano della Juventus, l’eroe delle Notti magiche dei Mondiali italiani, era reduce dall’adventure reality Pechino Express, a cui aveva partecipato insieme alla moglie rivelando a telespettatori e tifosi il suo grave problema di salute.
“A gennaio di un anno fa mi trovano un tumore al colon retto. A febbraio mi operano una prima volta, due mesi dopo la seconda. Quando arriva la proposta di Pechino Express, mi prendono i dubbi perché sapevo che sarebbe stata tosta. I medici mi dicono: ‘Sei guarito, riprenditi la tua vita‘. Barbara insiste. Dico sì solo perché lei sarebbe stata con me. Questa avventura è stata una rivincita sulla malattia e su quello che si era portata dietro: depressione e pensieri di morte”.
Dall’asfalto del CEP, quartiere ultra-popolare e “difficile” di Palermo, all’erba dell’Olimpico, in mondovisione. Una favola sportiva e umana sbocciata a Messina e proseguita a Torino, in maglia Juve. Il primo incontro con Agnelli a Villar Perosa, in ritiro: “Mi viene incontro, ho la pelle d’oca e paura di aprire bocca. L’Avvocato nutriva molto affetto per i siciliani. Ero uno di quelli che ricevevano la sua telefonata al mattino presto. All’inizio pensavo fosse uno scherzo. Voleva sapere come stavo, sondava gli umori dello spogliatoio”.
Nello spogliatoio bianconero, ricordava, aveva legato con tutti. Ma ci fu un episodio che fece chiacchierare l’Italia, una presunta scazzottata con il Divin Codino Baggio, con cui aveva appena condiviso la scena ai Mondiali: “Fu una testata. Attraversavo un periodo brutto, mi stavo separando da mia moglie Rita, avevo i nervi a fior di pelle. Una mattina leggo il giornale e Roberto, seduto di fronte, comincia a colpirlo con un calcio. Una volta, due, tre. ‘Guarda che me lo tiri in faccia’, gli dico. Una volta, due, tre. Alla quarta mi alzo e gli tiro una testata. Ma non forte, eh. Poi abbiamo fatto pace e siamo rimasti legati. È riservato, va poco in giro, ma ci siamo rivisti anche all’estero, in qualche raduno di ex juventini”.
Nella sua carriera aveva un solo rimorso: non aver calciato il rigore durante la semifinale Italia-Argentina al San Paolo, quando dal dischetto sbagliarono Serena e Donadoni. “È il destino che ha voluto così: vincevamo 1-0, avevamo la partita in pugno, poi un errore di Zenga ci è costato il pareggio. Sui rigori non ero ottimista, dal dischetto l’Argentina era più forte di noi”.