Saviano, da Gomorroide a martire, si scaglia contro Salvini: “Un cialtrone che vuole togliermi la scorta”

Vengo anch’io…“. No, questa volta Enzo Jannacci non c’entra nulla. Se gli rubiamo il celebre refrain è solo perché ben s’attaglia alla comica corsa al martirio in atto nel culturame (copyright di Mario Scelba, ideatore della stracitata legge omonima contro la “ricostituzione del disciolto partito fascista” e perciò insospettabile) nazionale. Nella photopportunity che già immortala i Fazio, Annunziata, Littizzetto e Gramellini tutti presunti epurati Rai, non poteva infatti mancare Roberto Saviano. Nel campo è una autorità indiscussa, una sorta di protomartire ad honorem. Apposta oggi l’autore di Gomorra ha levata alta sua voce in un video postato su Twitter per attaccare Matteo Salvini.

Ad offrirgli il destro, il processo che lo vede imputato per diffamazione e che oggi avrebbe dovuto registrare la testimonianza del querelante (Salvini), definito, ai tempi del Conte-uno, «ministro della mala vita». Il leader della Lega non si è però presentato in tribunale (era a Lussemburgo per una riunione europea sui trasporti) e Saviano è subito partito in quarta dicendogli di tutto e di più. Compreso «cialtrone». Segno che nella parte di bersaglio dei pretesi potenti (ma è dubitabile che Salvini si percepisca davvero tale a confronto del suo detrattore) lo scrittore si sente a suo agio più di un topo nel formaggio. Diversamente, non continuerebbe ad insultare né a insolentire, che è esercizio diverso dal diritto di critica, anche aspra e urticante.

Se lo fa, quindi, non è per temerarietà o per incoscienza, ma perché evidentemente il ruolo di perseguitato del governo “più a destra di sempre” resta ancora un prezioso passe-partout presso gli ambienti che contano. Viene in mente la canzone Morire per delle idee di Fabrizio De Andrè, formidabile metafora del senso degli intellettuali per il martirio a rilascio prolungato. Ma forse calza meglio a Saviano l’amara riflessione di Alain Finkielkraut. Questa: «Occupano tutti i posti: quello, vantaggioso, del Maestro, e, quello, prestigioso del Maledetto. Vivono come una sfida eroica all’ordine delle cose la loro adesione piena di sollecitudine alla norma del giorno. Il dogma sono loro; la bestemmia pure. E per darsi arie da emarginati insultano urlando i loro rari avversari. In breve, coniugano senza vergogna l’euforia del potere con l’ebbrezza della sovversione». Che vi dicevo? Una fotografia.

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