Di Meo intervista Daniela Di Maggio: “Roberto Saviano non ha capito nulla di Napoli”

By Simone Di Meo

Daniela Di Maggio è anzitutto una donna coraggiosa. Le hanno ammazzato il figlio Giovanbattista una sera di agosto del 2023 all’uscita di un pub in una delle strade più trafficate e note di Napoli, a poche centinaia di metri dalla sede dell’Amministrazione comunale. E lei che cosa ha fatto? Non si è chiusa nel suo lutto, non è sprofondata nell’autocommiserazione che tace e si consuma lentamente. Ha invece saputo trasformare il dolore in forza, in tenacia. Daniela Di Maggio è la coscienza civica di una città che ancora non riesce a fare i conti con i suoi demoni, preferendo nascondersi dietro il turismo in crescita e le pizze fumanti sullo sfondo del Vesuvio. Quando ci risponde al telefono è di ritorno dall’Aquila, dove ha partecipato al XXXII Premio Borsellino. È arrabbiata. È delusa. Ma non si arrende.

Signora Di Maggio, sostiene il vate dell’antimafia di carta, Roberto Saviano, che se i baby boss seminano il terrore, rivoltella in pugno, è anche colpa dello Stato che non capisce il disagio dei ragazzini, non li aiuta a emergere…
«Io sono senza parole, davvero. Non so come si possano dire queste cose. Sono aberrazioni che non si devono nemmeno pensare. Anzitutto perché sottolinei che lo Stato non c’è, è assente; il che non è assolutamente vero. Noi stiamo lottando per affermare il contrario, per restituire importanza allo Stato e alla legalità, così come abbiamo fatto proprio al Premio Borsellino. E poi basta con questa storiella del fascino del male, dei cattivi che hanno una marcia in più. Se tu educhi al bello un figlio, come lo era Giogiò, se gli insegni a visitare i musei e le mostre, se lo porti ai concerti, allora lui non impugnerà mai una pistola pensando che sia la strada più facile per arricchirsi. E questo perché gli instilli dei valori che non sono e non potranno mai essere quelli di Gomorra».

In pratica sta tratteggiando l’identikit del killer di Giogiò, Luigi Baldi.
«Baldi si presentava come il classico “malessere” con tutto l’armamentario sub ideologico del caso: io sono un leone, io tengo il revolver, io sono uno pericoloso. Bisognerebbe aggiungere: tu sei un vigliacco e un assassino».

Quanto fanno male rappresentazioni letterarie e televisive come Gomorra alle giovani generazioni?
«Sono completamente contraria a quel modo di raccontare le cose. Io con Saviano vorrei parlarci per cinque minuti e dirgli: “Ora guarda negli occhi la mamma di Giovanbattista Cutolo, morto per mano di un malessere gomorroide, solo perché aveva voluto salvare un ragazzo che era stato umiliato, quando gli avevano versato un barattolo di maionese in testa, e picchiato davanti a tutti. Giogiò è intervenuto per mettere pace, per proteggere il suo amico. Ma Giogiò era armato di strumenti musicali, di cultura, di bellezza, di gioia; Baldi di una pistola. Nella mente di mio figlio, nell’animo di mio figlio non c’è mai stata una pistola».

Ritorniamo a Roberto Saviano: la colpa può mai essere dello Stato?
«I giovani non hanno necessità di sacchi di denaro. Non possiamo giustificare quelli che pur di ottenere soldi facili si rivolgono alla camorra. Non c’è alcuna giustificazione per questo. Benedetto Croce diceva che non abbiamo bisogno di geni, ma di brava gente».

La brava gente sta diventando sempre più rara, a queste latitudini…
«Oggi ci sono bassi livelli di cultura, di educazione. Le famiglie sono smembrate, ci sono delle feritoie in cui si inseriscono queste serie televisive che diventano poi un esempio per questi ragazzini che non hanno coscienza critica. È la generazione TikTok, la generazione che vive nel virtuale, che confonde la Gomorra cinematografica con la vita reale. Solo che nessuno, e Saviano in primis, riesce a rendersene conto. E, mi spiace dirlo, ma Saviano può andare solo da Fabio Fazio a farsi le sue belle interviste di finto garantismo ideologico».

È arrabbiata pure con Fazio?
«Questi salottini cattocomunisti hanno rovinato l’Italia. Io mi sono impegnata, in un mese e mezzo, a cambiare una legge vecchia di trent’anni sui minori, ma per farlo ho dovuto pagare un prezzo altissimo: Giogiò è in un barattolo ed è stato abbandonato lui così come è stata la sua famiglia. Il suo assassino invece…».

Che cosa sta facendo, oggi, Baldi?
«Sta a Catanzaro, lo tengono protetto, e non so perché non stia ancora in cella a Poggioreale visto che ha compiuto i diciotto anni. Ha voluto atteggiarsi a grande criminale? Ora dovrebbe stare in carcere, in mezzo agli altri criminali… So che invece sta imparando il mestiere di pizzaiolo e ha ripreso a frequentare la scuola, lo portano in spiaggia, lo scarrozzano di qua, di là…».

Un percorso di rieducazione e recupero, parrebbe.
«Di fatto coccolano un assassino, altroché. E se un ragazzino pensa che il carcere sia una sorta di premio, nella visione distorta del gomorroide, è normale che delinqua ancora e che non prenda consapevolezza di quel che ha fatto. A Saviano vanno dette queste cose: perché, invece di parlare dei “malamente”, Saviano non parla del bello? Perché non prova a guardare alle cose positive che ci sono? Lui invece è diventato un professionista del marcio, delle cose negative, dell’orrore».

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