Pechino e Mosca sulla stessa linea: “Noi accerchiati, Usa attenti”

Dall’annuale riunione del cosiddetto Parlamento cinese (in realtà una pletorica assemblea di rappresentanti locali designati dal partito comunista senza altro potere che non applaudire i discorsi dei leader e approvare all’unanimità le loro «proposte») arrivano messaggi di insolita durezza per Joe Biden. Cambiate atteggiamento verso di noi, è la sintesi del minaccioso monito rivolto a Washington, o sarà impossibile evitare uno scontro.

Il numero uno del Partito-Stato Xi Jinping attacca e accusa per la prima volta direttamente gli Stati Uniti di voler «accerchiare, contenere e opprimere la Cina», rilancia l’alleanza strategica con la Russia di Vladimir Putin e chiama le imprese private cinesi a «combattere al fianco del partito comunista»: un chiarissimo richiamo a una priorità che per Xi è ormai indiscussa, ma che nel nostro mondo economico-finanziario liberale viene colta con fatica e cioè che in un regime comunista la politica viene prima dell’economia.

Il suo nuovo ministro degli Esteri Qin Gang (già ambasciatore a Washington) è altrettanto duro e lancia quella che verosimilmente sarà la linea cinese delle relazioni con gli Stati Uniti per il prossimo anno: confronto aperto e minaccioso, coerente con lo stile del promotore dell’aggressiva «diplomazia dei lupi guerrieri cinesi» e proprio di una potenza che ha ormai varcato la linea rossa della ricerca consapevole di uno scontro a livello globale con il Paese attualmente egemone nel mondo. Qin accusa l’America di fare ciò che in realtà Pechino ha ormai deciso di fare essa stessa con gli Usa: «Guardare la Cina come il suo principale rivale e dunque farne la sua prima sfida geopolitica». Il ministro degli Esteri di Xi ha dunque ammonito gli americani a «usare il freno, perché se continueranno sulla via sbagliata non ci sarà più modo di evitare l’uscita di strada, cioè conflitto e confronto diretto con catastrofiche conseguenze».

La via sbagliata di cui parla Qin ha diversi volti. Secondo lui gli americani giocano sporco con la Cina a livello geopolitico e commerciale, cercando sempre di ostacolarla invece di accettare una «giusta competizione» (c’è da chiedersi cosa strillerebbero a Pechino se alla Casa Bianca tornasse Donald Trump che dice di voler addirittura azzerare l’import di merci cinesi). E mentre la Cina «s’impegna per far finire la guerra» in Ucraina, «un’invisibile mano» (qui Qin allude a Biden senza però nominarlo) lavorerebbe invece per un’escalation «utile a certe agende internazionali»: e qui c’è la falsa pretesa che Pechino non abbia un’agenda del tutto contigua a quella della Russia, mentre parla di dialogo ma rifiuta di condannare l’invasione dell’Ucraina e i conseguenti crimini di guerra noti a tutti.

Qin ha confermato la necessità di sempre più strette relazioni con Mosca «in un mondo turbolento» (ossia l’obiettivo di una nuova egemonia globale dell’Asse delle autocrazie), non a caso riprendendo la stessa propaganda russa su un presunto «accerchiamento e contenimento» del proprio immenso Paese da parte americana. Negando che Pechino fornisca armi alla Russia, ha poi tentato un assurdo paragone: perché, ha detto, gli americani protestano per inesistenti forniture cinesi alla Russia mentre loro armano Taiwan? Esiste, in realtà, una differenza fondamentale tra i due casi: Mosca ha un ruolo di aggressore, mentre Taipei si arma per difendersi. Ma nella retorica ufficiale cinese, Taiwan è solo una provincia cinese ribelle e quindi «un affare interno di Pechino». Da qui le aperte minacce agli americani a non immischiarsi, pena un conflitto inevitabile nel prossimo futuro: anche qui si nota la somiglianza con la continua minaccia russa di guerra nucleare. La risposta da Washington ancora ieri sera si faceva attendere.

Pubblicato da edizioni24

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