“Pacifinta” o atlantista? Pd già in crisi esistenziale sulla linea della Schlein sull’Ucraina

L’ultimo giorno da segretario del Pd Enrico Letra lo ha chiuso con una significativa visita all’ambasciatore ucraino a Roma, seguita da parole nette: «La linea atlantista è la mia eredità». Ma alle eredità, insegnano i notai, si può anche rinunciare. E proprio questo, in fondo, è quel che temono possa fare Elly Schlein molti del suo stesso partito. Finora la neo-leader ha disciplinatamente votato gli aiuti all’Ucraina ma senza nascondere la propria cifra “pacifista“. Il dilemma dei riformisti dem (ma anche di molti opinionisti di area) e se continuerà a farlo o se farà prevalere l’intimo convincimento. Dubbio legittimo dal momento che nel suo primo discorso da segretaria non ha mai citato l’Ucraina.

L’ha notato anche Rosi Bindi. «Non mi piace il silenzio sulla guerra in Ucraina – ha detto la pasionaria cattodem -. Dovrebbe dire parole molto chiare a riguardo, in gioco c’è un nuovo assetto mondiale». Identica richiesta di chiarezza arriva da Giorgio Gori, area riformista, arrivato a chiedersi se ora «il partito resterà nella sfera atlantica». In realtà, molto dipenderà dagli obiettivi. Se la Schlein punterà ad attrarre nella propria orbita il M5S, non potrà parlare in misura troppo dissonante da Giuseppe Conte, in prima fila alle recenti manifestazioni contro la guerra. Facile, perciò, che il Pd finisca per  attestarsi su una posizione “terzista“, una sorta di “né né” che a sinistra ha radici piuttosto profonde. Del resto, se il Guardian ha paragonato la «stella nascente della sinistra italiana» ad Alexandria Ocasio-Cortez, bandiera dei liberal americani, una ragione ci sarà.

Ma non c’è bisogno di attraversare l’oceano per trovare precedenti sul tema nella sinistra internazionale. Basta infatti pensare a leader come il laburista Jeremy Corby o al goscista Jean-Luc Mélénchon. Insomma, la stabilità del Pd passa soprattutto per la linea che la Schlein adotterà sulla guerra in Ucraina. Una scelta tutt’altro che facile alla luce dell’anti-americanismo che serpeggia sotto traccia nel partito sotto forma di “malattia infantile” riferibile all’antico fattore K, inteso come kommunismus. Gira e rigira, insomma, siamo sempre lì: all’equivoco di un partito nato dall’assemblaggio di due culture – quella comunista e quella cattolica – per mezzo secolo  concorrenti ed alternative tra di loro. Ha funzionato fin quando c’era da combattere Berlusconi. Ma ora che guerra e nemico ci sono per davvero, riaffiorano i vecchi tic. La vittoria della Schlein è lì a confermarlo.

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