By Luca Fazzo
«È una norma di assoluto buon senso che va a colmare una lacuna». Claudia Eccher, consigliere laico del Consiglio superiore della magistratura, designata dal Parlamento, difende così il provvedimento che – prima ancora di essere varato dal governo – sta suscitando l’indignazione dei magistrati. È l’articolo, all’esame domani del Consiglio dei ministri, che punisce disciplinarmente il magistrato che non si astiene da un processo «quando sussistono gravi ragioni di convenienza»: come nei casi recenti in cui sul tema della lotta all’immigrazione clandestina molti giudici hanno disapplicato norme contro cui avevano già tuonato in precedenza.
Consigliere Eccher, i magistrati dicono che il governo li vuole «silenziare». Membri togati del Csm parlano dell’ennesima legge bavaglio.
«Ci si dimentica spesso che il magistrato, oltre ad essere terzo ed imparziale, deve anche apparire tale. Il cittadino deve poter avere fiducia nei magistrati e non deve pensare che essi siano in qualche modo prevenuti. Purtroppo, le cronache sono piene di casi di magistrati che prima hanno apertamente criticato provvedimenti legislativi e poi si sono trovati a doverli applicare».
Esiste il diritto di parola.
«Il magistrato non è un cittadino come gli altri. La sua libertà d’espressione, che nessuno vuole togliergli, deve essere necessariamente contemperata con il suo particolare status che non è quello di un cittadino comune. E poi Le faccio io una domanda: cosa succede se un carabiniere si lascia andare a commenti sopra le righe nei confronti del governo o del Parlamento? Oppure dichiara apertamente che non applicherà una legge perché non la condivide? Pensa che non subisca conseguenze disciplinari? Perché allora al magistrato, che ha un potere nettamente superiore, deve essere consentito tutto?».
In difesa dei giudici di Bologna che non hanno applicato il decreto sui «paesi sicuri» il Csm ha approvato una risoluzione con i voti dei magistrati di tutte le correnti: destra, sinistra, centro. Sente aria di reazione corporativa?
«Su certi temi le correnti si compattano sempre. Penso ad esempio alla annosa questione della responsabilità civile. Servirebbe invece un confronto aperto, senza condizionamenti di sorta. Io credo comunque che la maggioranza dei magistrati, quelli che lavorano in silenzio e lontano dai riflettori, siano però stanchi di questa contrapposizione continua in cui una minoranza di colleghi, accecati dall’ideologia, vogliono trascinarli. È la regola dell’avvelenamento del pozzo che travolge anche chi non merita e, come detto sono la maggioranza di ottimi magistrati che onorano la categoria».
Se la nuova norma verrà approvata, a decidere sarà comunque la sezione disciplinare del Csm. Che non è famosa per la sua severità.
«Sulla sezione disciplinare c’è ben poco da dire. Essendo i componenti togati in maggioranza, è inevitabile che ci possa essere una attenzione particolare nei confronti dei colleghi. E quindi un atteggiamento chiamiamolo giustificativo. Ecco perché ritengo importante passare la competenza disciplinare ad una alta corte! Molto del malfunzionamento del Csm è dovuto al sistema di elezione dei togati. L’attuale meccanismo li lega infatti a filo doppio con la loro base elettorale, portandoli a dover rispondere del proprio operato al Csm. Non dimentichiamo che quando scade il mandato i togati tornano in servizio nell’ufficio di provenienza. Per fortuna però ci siamo noi laici. Altrimenti il Csm sarebbe da tempo una succursale dell’Anm».