Milano violenta, il Sindaco Sala chiede rinforzi. E nel Pd le prime crepe

Milano. «Mi sono sentito con prefettura e questura, il ministro Piantedosi tornerà presto a Milano, obiettivamente è un lavoro lungo che richiede tanto impegno…». Così il sindaco di Milano Giuseppe Sala, rispondendo a chi gli chiede un commento su quanto accaduto due giorni fa in stazione Centrale, dove una giovane turista straniera è stata stuprata da un nordafricano irregolare mentre stava prendendo un ascensore. Un’aggressione brutale, non la prima purtroppo.

«Io non ho mai scaricato su altri le responsabilità – mette un po’ le mani avanti il sindaco -. È evidente che il ministero è fondamentale, le forze di polizia sono fondamentali nel fare rispettare la sicurezza, però lo sento come un mio dovere. Con Piantedosi, al di là di tutto, sulle questioni che hanno a che fare con Milano noi si lavora. I controlli in città sono tecnicamente aumentati però succede ancora, quindi il tema è che si deve aumentare ancora di più la presenza di uomini e di telecamere…».

Benvenuti a bordo. Forse ora anche a sinistra, anche nelle file del nuovo Pd che la neo segretaria Elly Schlein sta «armonicamente» pilotando verso colorate e illuminate posizioni di avanguardia civile, sociale e culturale si rendono conto che, nella città che da anni amministrano, c’è un serio problema di sicurezza. Che non esiste solo una metropoli splendente, patinata, sostenibile ed europea ma che ci sono «sacche» oscure di illegalità dove vivono centinaia di irregolari che in realtà sono fantasmi che non hanno nome, non hanno casa, non hanno lavoro, che sopravvivono da disperati e che è meglio fingere che non esistano.

Guai a chiamarla «emergenza», perché a sinistra non usa. Guai a pensare che l’immigrazione non sia solo la normale opportunità di una città sempre più cosmopolita ma anche un disagio concreto per chi ci fa i conti quotidianamente quando esce di casa, per i poliziotti, per i tranvieri che vengono aggrediti se osano chiedere un biglietto, per chi vive in quartieri-ghetto di periferia come Selinunte, le Case Bianche o il Corvetto dove l’integrazione è rimasta lettera morta. Altro che «modello Milano».

Quindi ora la «notizia» è che anche un sindaco del Pd chiede rinforzi, chiede più telecamere forse, tra un po’, chiederà anche le tanto vituperate pattuglie dell’Esercito, quelle che negli anni passati avevano reso le «strade sicure» ma che a sinistra vedevano come il fumo negli occhi perché «Milano non è Beirut» e i militari sono i militari… Il guaio è che Milano questi temi così terra-terra, così popolari, cosi poco interessanti per una metropoli che negli anni è diventata troppo «vanesia» e compiaciuta della sua internazionale bellezza fa un po’ fatica a trattarli. Fatica a fare i conti con «marginalità» che sono fisiologiche, che non sono colpa di nessuno ma che bisogna però avere il coraggio di ammettere e di affrontare perché a forza di girarsi dall’altra parte poi diventano proprio ciò che non si può dire, cioè emergenze. Ma da un po’ di anni su queste cose così «banalmente» terrene la città e chi l’amministra arrivano sempre dopo, più in ritardo che in anticipo, che non è proprio un’abitudine «meneghina», di una città europea, alla moda, efficiente e sempre un passo avanti. Così ci si accorge troppo tardi che esiste un problema «Stazione Centrale»; che ci sono periferie dove la gente dell’urbanistica tattica non sa che farsene perché dopo una certa ora si chiude in casa e non va in piazzetta a giocare a ping pong perché ci sono i balordi che spacciano; che nella zone della Movida ogni week end scoppiano gazzarre assurde che deve intervenire la «Celere»; che dopo una certa ora molte ragazze in giro, in metro, ovunque da sole non ci vanno più. Su questi temi Milano arranca, insegue sempre un po’ fuori tempo. E più che una città che guarda al futuro pare la città del giorno dopo.

Pubblicato da edizioni24

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