By Marcello Astorri
L’obiettivo del governo è chiaro: premiare con un robusto taglio delle tasse quel ceto medio che finora è rimasto quasi all’asciutto dopo il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento delle prime due aliquote dell’Irpef. Il modo per farlo, allo studio nelle stanze del ministero dell’Economia, sarebbe quello di abbassare l’aliquota centrale della tassa sui redditi delle persone fisiche dal 35 al 33% e di innalzare fino a 60mila euro il limite del secondo scaglione, oggi a 50mila euro, oltre il quale scatta l’aliquota massima del 43%. Una mossa duplice, che avrebbe un costo non indifferente: 4 miliardi. Ma che sarebbe anche di più di quanto già anticipato dal vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo, in un’intervista esclusiva rilasciata al Giornale lo scorso marzo in cui diceva di voler ridurre le tasse «ai redditi più elevati» rispetto a quelli compresi nel primo intervento sull’Irpef, perché «non si può pensare che chi ha 50mila euro di reddito debba subire una tassazione che, comprendendo anche le addizionali regionali e comunali, supera il 50%. Sono livelli inaccettabili per una nazione come la nostra che ha quale obiettivo la maggiore crescita».
Ora nelle stanze del governo si vuole dare seguito al programma di riduzione delle tasse e alleggerire il prelievo fiscale al ceto medio fino a 60mila euro di reddito: secondo quanto stima un articolo del Sole 24 Ore, il costo della misura sarebbe di 4 miliardi aggiuntivi e andrebbe a beneficio di circa 8 milioni di contribuenti nel range tra 28mila e 60mila euro di reddito, i quali versano un quarto dell’intero gettito Irpef. Ma se per chi guadagna da 28 a 50mila euro lo sconto sarebbe del 2%, per gli 839mila contribuenti che percepiscono tra 50 e 60mila euro il taglio sulle tasse arriverebbe al 10 per cento. Per questo ulteriore passo, che sarebbe da leggere come il tentativo di dare ulteriore impulso ai consumi, sarà tuttavia necessario trovare le coperture, obiettivo non facile ma che il governo è comunque determinato a portare a casa. La sola riconferma dell’accorpamento delle aliquote Irpef ha un costo annuo di poco superiore ai 4 miliardi, una cifra tuttavia che ha grosso modo le sue coperture: infatti, il fondo per la riduzione della pressione fiscale alimentato dalle risorse dei crediti d’imposta aboliti dell’Ace, dal gettito della global minimum tax e accertamento ha già in dote 3,8 miliardi. Un tesoretto che sarà ulteriormente rimpinguato dalle gare del Lotto e del gioco online che nel giro dei prossimi due anni dovrebbero portare a incassare altri 1,4 miliardi. C’è quindi margine non solo per prorogare il fisco a tre aliquote, ma anche per renderlo strutturale (vale a dire che non sarà più necessario prorogarlo di anno in anno). L’intenzione sarebbe anche quella di rendere stabile il taglio del cuneo fiscale (che costa nell’intorno dei 10 miliardi), ma in questo caso la sfida per un semplice fatto di risorse è più difficile da centrare già quest’anno. In ogni caso, comunque, il governo ci proverà senza mettere a rischio la tenuta dei conti pubblici: la stella polare, del resto, è sempre quella della prudenza predicata dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che entro la metà settembre presenterà all’Unione europea e al Parlamento italiano il documento con il piano di rientro pluriennale sul deficit nel rispetto delle nuove regole del Patto di Stabilità.
Di certo le questioni fiscali, così come anche il delicato cantiere delle pensioni, saranno toccate nel vertice di maggioranza in programma per domani, al quale parteciperanno la premier Giorgia Meloni e i vice premier Antonio Tajani e Matteo Salvini, leader rispettivamente di Forza Italia e Lega.