Mario Sechi: “L’Europa, Putin e lo spettro del Vietnam”

By Mario Sechi

Sono voci, ma vanno registrate perché sono state pubblicate da Le Monde, perché la fonte è britannica, perché l’idea esiste, è un fiume carsico che scorre in alcune cancellerie europee. Sintesi: sono in corso colloqui tra Parigi e Londra per creare una forza militare focalizzata sull’Ucraina, non si esclude un invio di truppe, nell’ipotesi di un disimpegno degli Stati Uniti dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Impossibile? Proviamo a spacchettare lo scenario. Primo punto. Francia e Regno Unito sono potenze nucleari, il comando militare britannico secondo il Sipri di Stoccolma ha 225 testate disponibili, la Francia ne ha 290. Qualsiasi progetto militare europeo che vuole difendere il fianco orientale non può prescindere dalla deterrenza di Parigi e Londra. Sembra una partita a scacchi per poi avere il comando della Difesa europea, ma sulla scacchiera si perde e non si muore, mentre sul campo di battaglia scorre il sangue.

Secondo punto. Cosa pensano gli strateghi di Trump? Michael Waltz, il prossimo Consigliere per la sicurezza nazionale, il 2 novembre scorso sull’Economist ha scritto: «Il prossimo presidente dovrebbe agire con urgenza per chiudere rapidamente i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente e concentrare finalmente l’attenzione strategica dove dovrebbe essere: contrastare la minaccia più grave del Partito Comunista Cinese». Questo conferma il disimpegno? No, perché Waltz qualche riga dopo afferma che se Putin rifiuta il negoziato, «Washington può, come ha sostenuto Trump, fornire più armi all’Ucraina con meno restrizioni sul loro uso.

Di fronte a queste pressioni, Putin probabilmente coglierà l’occasione per far terminare il conflitto». Waltz è un ex berretto verde, conosce l’arte della guerra, e proprio per questo tutto appare sospeso in aria. Terzo punto. Inviare truppe in Ucraina, si può fare, ma sapendo che si rischia di creare uno scenario come quello raccontato da David Halberstam in un libro del 1972 intitolato “The Best and the Brightest”. Dopo un ruvido incontro con Nikita Krushev a Vienna, John Fitzgerald Kennedy decise di aumentare le pressioni e il personale militare presente in Vietnam. Lo fece per orgoglio ferito, irruenza giovanile, inesperienza. Kennedy disse al giornalista James Reston: «Abbiamo un problema: rendere credibile la nostra potenza. Il Vietnam è il posto giusto per dimostrarlo». È andata come raccontano i libri di storia, con 58 mila morti americani e una sconfitta.

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