M5s, la scissione è dietro l’angolo: in 15 dicono no a Draghi, 6 disertano, i “ribelli” buttano mazzate alla cieca…

Lo strappo è consumato. La fronda M5sistituzionalizza ruolo e rotta. E Alla fine, dopo interminabili riunioni “parallele”. Assemblee permanenti. Annunci e smentite, ieri sera a Palazzo Madama va in scena lo strappo nel M5s: chiamati al voto, 15 senatori grillini dicono no a Draghi e al nuovo esecutivo. Sei, invece, risultano assenti. La spaccatura è ufficiale. E formalizza le tribolazioni interne patite dal Movimento da una parte si schiera chi ha dato fiducia al governo Draghi. Dall’altra, sulla sponda opposta, il voto su Rousseau e i suoi sostenitori, che segna la nascita del nuovo organo collegiale, archiviando l’era del capo politico. Così, nel giorno della nascita della nuova compagine di governo di cui i pentastellati fanno parte, l’intero Movimento a pezzi, è costretto a fare i conti con la scissione alle porte.

Al Senato i frondisti contrari al nuovo esecutivo si contano e puntano a un nuovo assetto parlamentare. «Ovviamente non posso più essere nel M5S. La scelta di campo è radicale», dice il senatore Mattia Crucioli annunciando il suo “no” a Draghi. E sulla possibile creazione di un nuovo gruppo osserva: «Me lo auguro e lavorerò per questo». Perché «per fare opposizione occorrerà essere organizzati. Se ci saranno i numeri, sarà sicuramente molto più utile stare dentro un gruppo». Dalla trincea dei parlamentari grillini schierati col governo, intanto, si pensa alla risposta da dare al “fronte del no”. «L’espulsione per chi ha votato no sarà inevitabile. Nuovo gruppo? Valuteremo in seguito alla votazione come mettere meglio a frutto gli esiti di questa assai sofferta decisione», afferma all’Adnkronos la collega Bianca Laura Granato.

Alla fine, nelle file pentastellate si contano 15 voti contrari a Draghi e 6 assenti. Votano no: Abate, Angrisani, Corrado, Crucioli, Di Micco, Giannuzzi, Granato, La Mura, Lannutti, Lezzi, Mantero, Mininno, Moronese, Morra, Ortis. Disertano la votazione invece: Auddino, Botto, Campagna, Dessì, Garruti, Nocerino. Per i dissidenti quasi certamente arriveranno sanzioni disciplinari, dal momento che il capo politico Vito Crimi ha definito «vincolante» il voto degli iscritti. I riflettori ora sono puntati sulla Camera, dove la fronda dei deputati anti-Draghi è a sua volta pronta alle barricate.

Intanto sulla piattaforma Rousseau la base 5 Stelle dà il via libera alle modifiche statuarie che eliminano la figura del capo politico sostituendola con un “Comitato direttivo” composto da 5 membri. Un passaggio che crea l’ennesimo scontro tra i vertici M5S e Rousseau. L’Associazione presieduta da Davide Casaleggio – in un post dal titolo «Inizia il conclave degli iscritti» – annuncia: «Da oggi termina la reggenza della figura del capo politico e si avvia il percorso per la creazione di un organo collegiale che avrà il compito, come stabilito dalle modifiche dello statuto, di definire la linea politica del Movimento 5 Stelle insieme all’Assemblea degli iscritti. Oltre che amministrare le attività quotidiane del Movimento 5 Stelle». E Vito Crimi? Ovviamente non è dello stesso avviso, e su Facebook precisa intanto che la sua reggenza, come confermato da Beppe Grillo in una lettera, «proseguirà fino a quando non saranno eletti i 5 membri del nuovo Comitato».

Da oggi parte dunque la campagna elettorale interna. Il senatore Nicola Morra (uno degli esponenti della fronda) conferma che sarà della partita. «Mi candiderò per l’organo collegiale», ribadisce all’Adnkronos. Poi spiega ai cronisti le ragioni della sua adesione al fronte del no alla fiducia: «Penso di aver fatto qualcosa che certamente non mi mette a mio agio. Però ci sono situazioni in cui bisogna anche rimanere soli. Se sono pronto all’espulsione? Adesso vedremo. Non ci sono problemi. Bisogna andare avanti e avere il massimo rispetto delle posizioni di tutti». Nelle scorse settimane anche Barbara Lezzi,fedelissima di Alessandro Di Battista, aveva annunciato un passo avanti. «A breve dirò cosa ho intenzione di fare», si aggiunge al dibattito l’europarlamentare Dino Giarrusso. Chi non ha ancora sciolto la riserva, invece, è il ministro degli Esteri ed ex capo politico, Luigi Di Maio. Insomma, dal vertice alla base, è tutto “in Movimento”. O forse no.

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