“L’orrore della fatica”. Saviano incalza il fancazzismo

Certo che ce ne vuole. Fare l’elogio del fancazzismo in un Paese che a fatica combatte la disoccupazione sembra quasi una presa in giro. Eppure, a giudicare dal tono, Roberto Saviano sembrava serissimo. Nel giorno dedicato alla festa dei lavoratori, lo scrittore campano si è lanciato in un’ode contro la fatica e il lavoro. Perché – ha spiegato, citando il poeta André Breton – “non serve a niente essere vivi, se bisogna lavorare“. E grazie tante. Nel suo velleitario slancio, tuttavia, il saggista antimafia ha dimenticato di spiegarci come gli sfaccendati dediti all’ozio dovrebbero procurarsi la pagnotta per riempiere almeno la pancia a fine giornata.

Alla faccia di chi si fa in quattro, accettando anche occupazioni precarie o sottopagate, Saviano ha festeggiato il 1° maggio con un post dai contenuti stranianti. “L’orrore della profitto, l’orrore della competizione, l’orrore del merito, l’orrore della precarietà, l’orrore della disoccupazione, l’orrore dell’occupazione, l’orrore della fatica“, ha premesso lo scrittore sui social. Poi, dopo quell’escalation, ha argomentato: “C’è stato un mondo in cui esistevano organizzazioni politiche che volevano abbattere il lavoro, in cui gli intellettuali cantavano l’ozio e la pigrizia come condizioni uniche di libertà, in cui le menti credevano che la tecnologia avesse una sola direzione. Liberare l’umanità dalla fatica e dal lavoro salariato

In realtà il favoloso mondo evocato da Saviano non è mai esistito in concretezza, visto che, dalla notte dei tempi, è stato proprio il lavoro a consentire agli uomini di emanciparsi dall’indigenza e da una condizione di bisogno. Certo, non sono mancate storture e ingiustizie anche in tale processo ma sinora nessuno è riuscito a trovare un meccanismo alternativo, migliore e replicabile su larga scala. Definire il lavoro in quei termini ci sembra dunque assurdo, paradossale. A parlare di diritto alla pigrizia ci aveva provato anche il rivoluzionario comunista Paul Lafargue, genero di Karl Marx, convincendo il filosofo tedesco. “Ora tutto questo sembra non sia mai esistito e l’unico destino è esser travolti da una fatica sempre più grande e sempre più fatale. Più lavoro e meno risorse, meno tempo, meno vita“, ha aggiunto Saviano sui social.

Poi lo scrittore campano ha citato appunto André Breton, teorico del surrealismo. Il poeta – ha scritto – “mi viene in soccorso per augurare un buon 1° maggio a chi non ha mai smesso di agire perché l’orrore del nostro tempo non sia accettato come naturale condizione delle cose, come sola possibilità d’essere“. La dissertazione dell’autore di Gomorra, tuttavia, non ha convinto più di tanto gli utenti dei social ai quali era stata proposta. “Si vede che non hai mai lavorato un giorno in vita tua!“, ha commentato velenosamente un utente, contestando il saggista. E un altro ha cercato di spiegare pazientemente a Roberto il suo errore di fondo: “Con tutto il massimo rispetto, caro Roberto, qui mi trovi decisamente in disaccordo, perlomeno col messaggio che vai mandando. Il lavoro non è una piaga, è il suo non essere riconosciuto dignitosamente che lo è!“. E un’altra utente, facendo il verso allo scrittore, ha osservato: “L’orrore di chi piglia per i fondelli chi lavora e si fa un mazzo tanto“.

Ma in fondo le considerazioni di Saviano non stupiscono più di tanto. Lo scrittore, infatti, da tempo offre una visione della realtà tutta sua, talvolta fantasiosa, talvolta apocalittica. Talvolta surreale e nettamente di parte. “L’Italia si sta avvicinando sempre di più alla Polonia, all’Ungheria di Orban, alla Serbia. Si sta balcanizzando. In Francia c’è preoccupazione. Come negli Stati Uniti dove il rapporto tra intellettuali, giornalismo e potere è molto diverso. Trump escluso ovviamente. Da noi gli intellettuali critici si sentono sempre più soli”, ha spiegato Roberto in un’intervista alla Stampa. Ma la maggioranza degli italiani vede un Paese completamente diverso.

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