Lo statuto 5 Stelle disintegra quelli locali. Più che uno Statuto è una dittatura

Pagina 38, articolo 25, lettera c. Il diavolo si annida nei dettagli. Anzi, nelle «norme transitorie» del nuovo Statuto del M5s di Giuseppe Conte. Sfogliando il documento, minuzioso e un po’ barocco, a molti attivisti non è sfuggito il comma che manda in soffitta una storia. Quella dei Meetup, della partecipazione dal basso, dello spontaneismo. La stagione dei manifesti e dei volantini, tra un banchetto e una «graticola» per scegliere i candidati. «Sono disciolti, a far tempo dall’approvazione del presente Statuto, i gruppi locali e le formazioni territoriali auto-costituiti nel tempo o comunque di fatto già operanti», si legge tra le pieghe del testo, frutto della complessa mediazione tra Conte e Beppe Grillo.

Spariscono tutti i nuclei sparsi da Nord a Sud, largo ai «gruppi territoriali» voluti dall’avvocato di Volturara Appula. Dei veri e propri circoli, sul modello dei partiti tradizionali, a cui il presidente del M5s destina fondi per le iniziative locali. Il leader, cioè Conte, può nominare anche dei «coordinatori territoriali», alcuni dei quali vanno a integrare il Consiglio nazionale al vertice del Movimento. Organo presieduto sempre dall’ex premier. I nuovi gruppi territoriali dovranno essere «autorizzati dal Comitato per i rapporti di prossimità territoriale, di concerto con il presidente, sentiti i competenti coordinatori territoriali», è scritto ancora nello Statuto. Una centralizzazione non da poco, per una base cresciuta con l’attivismo spontaneo, caotico e vagamente anarcoide, delle origini.

Certo, Grillo metteva sempre la parola fine a tutti i litigi, ma il suo intervento risolutivo arrivava solo alla fine, in casi particolari. Il Garante non esercitava un controllo diretto sulla proliferazione dei Meetup. Tant’ è che ne fiorivano tantissimi, a volte anche in contrasto tra di loro. Ora la mutazione genetica sta causando i primi mugugni. Lamentele che sono già arrivate ai deputati e senatori di riferimento per i vari territori. «Questa è una dittatura, adesso Conte nei nuovi gruppi territoriali metterà solo gente vicina a lui, gente sua», è lo sfogo che arriva dalla base, riportato proprio in questi termini da diverse fonti parlamentari.

Il timore è sempre quello della «bad company». Di un M5s cangiante, pronto a diventare una lista personale al servizio dell’ex premier. Il controllo sulla militanza locale, secondo i beninformati, serve anche a depotenziare alcuni big attivissimi nei loro feudi. Viene in mente l’eurodeputato Dino Giarrusso. Uno che in Sicilia, la sua regione, si è costruito una rete importante di attivisti. Al Nord c’è l’ex sottosegretario Stefano Buffagni, motore del gruppo della Lombardia, ma non solo. Ed è impossibile non pensare a Virginia Raggi, sindaca di Roma, portatrice di una linea politica autonoma rispetto al disegno di alleanza con il Pd sponsorizzato da Conte. Lo scetticismo sull’accordo organico giallorosso è condiviso da Giarrusso e Buffagni, così come da altri proconsoli in giro per l’Italia.

Da un gruppo di eletti regionali fedeli a Rousseau arriva anche la minaccia di un ricorso sulle prossime votazioni online, che si terranno sulla piattaforma SkyVote. Mentre dal Lazio la consigliera regionale Francesca De Vito annuncia per domani una manifestazione in piazza a Montecitorio per chiedere al M5s di non arretrare sulla prescrizione.

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