By Francesco De Remigis
Applausi e grida di entusiasmo da decine di musulmani francesi in piazza quando l’imam-influencer Elias d’Imzalène è salito sul palco di Place de la Nation per invocare «l’intifada a Parigi». In una manifestazione filopalestinese organizzata domenica nella Ville Lumière ha preso in mano il microfono inneggiando alla rivolta: «Per le nostre banlieue, per mostrare che la strada verso la liberazione parte da noi, che l’intifada parta da Parigi e passi per Marsiglia! – il proclama -. Siamo pronti!?». Nessuno lo ha fermato, anche se questo quarantenne francese è schedato Fiche S. Pericoloso, per gli 007. Ma libero, anche se la moschea di Torcy in cui era attivo prima di reinventarsi influencer a Parigi fu chiusa nel 2017 perché «pro-jihad armata».
Su Instagram e X, El Yess Zarelli (vero nome dell’autoproclamato «artista e influencer politico») non ha esitato a pubblicare la sua ultima performance: «Presto Gerusalemme sarà liberata e potremo pregare nella Masjid al-Aqsa – dice nel sermone -. Il genocidio ha dei complici, Biden e quel Macron che è anche il ladro delle elezioni, giusto? Conosciamo i ladri che vivono all’Eliseo e a Matignon, pronti per liberarci anche di loro?». Erano passate appena 24 ore dalla protesta di Mélenchon contro la nomina di Barnier a premier. E c’è un sottile legame col suo partito. Se infatti d’Imzalène un anno fa era pubblicava video contro il divieto dell’abaya a scuola, dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre è stata la causa palestinese a consentirgli di portare avanti l’agenda. L’islam come bussola, e l’odio per l’occidente e per Israele come detonatore. Già vicino ai Fratelli musulmani, è passato dal sostenere pubblicamente il separatismo a invitare i fedeli a smettere d’essere «francesi repubblicani», all’intifada. Due anni fa era perfino a una conferenza all’Eurocamera. E a Parigi ha trovato attenzione tra i deputati mélenchoniani Ersilia Soudais, Thomas Portes e Rima Hassan. Che non condannano il terrorismo di Hamas.
Solo dopo che i suoi proclami sono circolati sui social, il ministro dell’Interno dimissionario Darmanin l’ha denunciato per istigazione ad armarsi contro l’autorità dello Stato, la popolazione, persone di fede ebraica. Ma poche voci si sono alzate; nessun vero scandalo. Solitaria, quella della presidente dell’Île-de-France, Valérie Pécresse: «È una vergogna, diciamo stop agli ingegneri del caos!». Durissima quella del predicatore Hassen Chalghoumi, sotto scorta da 18 anni, che invita il neo premier Barnier a essere più «fermo» con certi personaggi. Il caso ricorda il silenzio su quell’Abu Hamza che nei sermoni londinesi di Finsbury Park incitava i giovani alla jihad. Servirono anni per coglierne la pericolosità. Fu lasciato predicare in nome della libertà di espressione.
Poi si scoprì che Cherif Kouachi, uno dei due terroristi che fecero strage a Charlie Hebdo, era stato arruolato in carcere da un suo seguace. Il capo della polizia di Parigi sta ora considerando di vietare futuri assembramenti riconducibili all’imam-influencer e alle sue sigle.