Le teorie di Davigo si stanno rivelando veritiere: “Non esistono persone innocenti”. Infatti viene indagato a Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio

Sarebbe crudele, ora che la sua parte in scena è bruscamente cambiata, augurare a Piercamillo Davigo di provare sulla sua pelle le asprezze che lui medesimo ha predicato per anni: da quella più nota, per cui non esistono innocenti «ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca» alla più recente, secondo cui «è un errore italiano dire sempre di aspettare le sentenze». E invece anche nel suo caso bisognerà aspettare la sentenza, considerarlo innocente fino alla fine, e consentirgli di difendersi utilizzando in ogni modo quel codice di procedura penale che, a suo dire, «è stato scritto per aiutare i criminali». Ma intanto è inevitabile chiedersi come diavolo abbia fatto un uomo della esperienza e della astuzia di Davigo a andarsi a infilare in un simile guaio, commettendo uno dopo l’altro degli svarioni di cui – in attesa che ne venga valutata la rilevanza penale – brilla una inverosimile dissennatezza: prima tra tutte, forse, la pensata di appartarsi in un retroscala del Csm e raccontare tutti i verbali milanesi a uno loquace e incontrollabile come Nicola Morra, presidente dell’Antimafia. Che infatti alla prima occasione lo ha scaricato senza complimenti in diretta tv.

Cosa ha a che fare questo Davigo imprudente e scomposto con il gelido calcolatore che trent’anni fa, dal suo minuscolo ufficio al quarto piano del tribunale milanese, dava veste giuridica ai colpi di clava di Di Pietro contro Tangentopoli? Come si conciliano i traffici di fotocopie e soffiate su cui ora indaga la Procura di Brescia con la lucida precisione con cui Davigo ha saputo costruire il suo futuro dopo Mani Pulite, fino all’arrivo in Cassazione, poi alla presidenza dell’Associazione magistrati, e all’approdo finale al Csm?

Purtroppo, l’unica spiegazione plausibile attiene a una fragilità dell’animo umano che è l’ansia di invecchiare: e che negli uomini di potere si assomma a un tarlo ancor più lacerante, che li coglie quando vedono il loro comando prossimo alla fine, e il ruolo sociale pronto ad abbandonarli. Non è un caso che il pasticcio in cui va a infilarsi incontrando Storari coincida con mesi di sofferenza per il Dottor Sottile: siamo nell’aprile dell’anno scorso, mancano sei mesi al settantesimo compleanno che coinciderà con il pensionamento da magistrato. Davigo in quei giorni ha già iniziato a darsi da fare per continuare, contro ogni regola, a fare parte del Csm. Ma è già chiaro che l’operazione è destinata a fallire. Anche perché contro Davigo si sono messi due suoi ex fedelissimi, Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, magistrati che proprio lui, inventandosi una corrente dal nulla e sbancando le elezioni, ha fatto approdare al Csm. E che si preparano a voltargli le spalle, votando la sua destituzione.

Il Davigo dell’aprile 2020 è un anziano che vede avvicinarsi inesorabile il momento dell’uscita dalla scena pubblica, lo spettro della panchina. Così quando il povero Storari, in piena sindrome da accerchiamento, bussa fiducioso alla sua porta, per Piercamillo è come un raggio di sole in una giornata plumbea. Se è a lui, e solo a lui, che un bravo pm si rivolge per avere giustizia, allora non tutto è finito. Allora la fase in cui è lui a imprimere la linea, è lui a simboleggiare la giustizia, è ancora tutta da vivere. Sono ancora io, il Dottor Sottile. E Davigo disse a Storari: «Dammi quelle carte».

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