Le manovre spettacolari dei centristi sono un buco nell’acqua: sospetti, paure, sotterfugi, gelosie e amorinciuci segreti in attesa che accada il “miracolo”

Le “grandi manovre” dei centristi che coinvolgono i moderati di centrodestra e di centrosinistra tengono banco. Ad ogni finale di legislatura che si rispetti assistiamo alle smanie di tante sigle, aspiranti ago delle bilancia che tentano di scalfire il muro del bipolarismo per cercare di contare qualcosa. Naturalmente i centristi ci stanno provando anche in questo scorcio temporale che ci separa dalle prossime elezioni politiche. «Vivono in un arcipelago di piccole formazioni politiche poste al confine dei due schieramenti. Rappresentano una forza di interposizione eterogenea che ha numeri rilevanti nel Palazzo ma non nel Paese, a leggere i sondaggi». È Francesco Verderami a disegnarne, tattiche e strategie. Si tratta di un disegno lontano dai “desiderata” del Paese. Un “sogno” accarezzato solo in virtù delle fibrillazioni che agitano il centrosinistra e il centrodestra . Ma non di più.

Infatti, proprio tra gli aspiranti centristi non c’è unità, anzi i distinguo regnano sovrani. C’è Matteo Renzi, leader di Italia Viva, che ironizza: «Per ora sono in corso discussioni tra sordi e incontri tra ciechi», dice a proposito dell’asse giallorosso. «A settembre si capirà meglio e si vedra anche cosa farà il Pd con i grillini». Dunque, è in una fase attendista.  C’è Carlo Calendaleader di Azione, uno dei più movimentisti al centro, che chiude categoricamente al Pd e si becca in continuazione con Renzi. Non solo, dice di rifiutare categoricamente la definizione centrista («mi fa schifo»). Sul fronte del centrodetera troviamo Mariastella Gelmini. Con lo strappo del ministro forzista, che ha accusato il suo partito di «ambiguità» nel posizionamento sulla guerra, l’ex ministra della Pubblica istruzione ha iniziato a dialogare con Calenda: «Sto riflettendo», ha detto. Ma il leader di Azione che si è federato con +Europa, non appare oggi intenzionato ad allearsi con altri: «Teme che un simile rassemblement venga visto dagli elettori come un’unione di reduci», riporta il Corriere delle Sera; e punta in solitudine a diventare la terza forza, determinante per il governo nella prossima legislatura.

In mezzo a queste divisioni politiche e caratteriali c’è Giovanni Toti con Cambiamo, che si fa una domanda: Il centro riuscirà a unirsi e a creare una massa critica autonoma; o al dunque i partitini sceglieranno di aggregarsi alle coalizioni, sapendo a quel punto di essere sostanzialmente residuali?». Questa è la scommessa che ci separa dal maggio del 2023. Dal retroscena e mettendo in fila fatti e parole, sembra essere una scommessa persa in partenza. “E per ora la situazione appare bloccata“, scrive l’editorialista. Ognuno dei fautori sogna un centro tutto suo, questo è il punto, non sono uniti da nulla, nessuna visione. Renzi parla di un soggetto di stampo macroniano: «unito sulla politica estera e sulla politica economica, plurale sui temi etici e disposto ad affidare a un papa straniero la rappresentanza di tutti». Su questo terreno lo seguono  Toti e Quagliariello, secondo cui «se il centro deve nascere attorno a una persona, non nasce».

C’è l’idea di organizzare una convention a luglio, che elabori un documento-base per il  progetto centrista unificato. Ma i primi a crederci poco sono proprio loro. Nessuno degli attori proganisti “è interessato a un cambio della legge elettorale né si fa illusioni sulla fine delle coalizioni”. Renzi è il più scfettico di tutti:  “il centrodestra andrà unito al voto- ha sentenziato- . E da Forza Italia si staccherà solo chi avrà la certezza di non venire rieletto. Se il centro nascerà, sarà perché avrà saputo sfruttare gli errori altrui”. Ben misero viatico per un progetto che vorrebbe essere di lungo respiro. La realtà è che tali cespuglietti sono inconciliabili. speravanop in un destino diverso con Dragli premier.  “I centristi videro nel premier una sorta di moltiplica politica, punto di riferimento di un soggetto che avrebbe scardinato i poli e seppellito la parentesi populista. Lo scenario non si è realizzato”.

Tali “grandi manovre”, nascono azzoppate, sono tentativi per cercare di conservare uno spazio politico e coltivare speranze elettorali, nulla più. C’è solo la paura come collante. Il timore dell’impossibilità di far nascere un centro unito avvantaggerebbe  – è l’opinione di  chi sta lavorando al progetto –  Meloni e Letta. Addirittura potrebbero “realizzare due centri. La leader di FdI e il segretario del Pd, impegnati a consolidare un patto costituzionale che non prevede(rebbe) poi un patto di governo, lavorano ognuno per la propria parte a un’area che li sostenga”. Insomma, questo centro parte in salita e già depotenziato.

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