Il duplice omicidio di Pordenone. Le chat segrete sulle nuove utenze rivelano tutto: ecco perché Trifone e Teresa furono ammazzati

Freddati da alcuni colpi di pistola mentre si trovavano nel parcheggio davanti al palazzetto dove si allenavano. Sono morti così Trifone Ragone, caporalmaggiore dell’esercito, e la fidanzata Teresa Costanza, 29 e 30 anni, uccisi a Pordenone nel 2015. E dopo sei anni l’unico indagato per il duplice omicidio, Giosuè Ruotolo, ha ricevuto una condanna definitiva all’ergastolo.

Era la sera del 17 marzo 2015. Trifone e Teresa erano appena usciti dalla palestra dove erano soliti allenarsi e, dopo aver salutato un amico, si erano diretti in macchina per tornare a casa. Ma la loro auto non lasciò mai il parcheggio di fronte al Palazzetto dello Sport di Pordenone. Venne ritrovata poco dopo, intorno alle 20. Al suo interno i corpi senza vita dei due fidanzati raggiunti, come ricordò una sentenza relativa a un ricorso, “ciascuno da plurimi colpi di arma da fuoco”, sparati da una pistola calibro 7.65, usata “da distanza molto ravvicinata attraverso lo sportello anteriore sinistro del veicolo, ancora aperto dopo l’introduzione al suo interno del conducente Ragone”. Trifone era sottufficiale dell’Esercito in servizio al 132/o Reggimento Carri di Cordenons, mentre Teresa Costanza aveva un impiego come assicuratrice, avendo studiato marketing alla Bocconi di Milano.

Inizialmente gli investigatori pensarono a un omicidio-suicidio, ma l’assenza dell’arma del delitto fece subito scartare questa ipotesi, propendendo per quella del duplice omicidio: Teresa e Trifone erano stati uccisi da un killer. Ma chi poteva volere la morte di quella coppia con una vita senza ombre? E chi poteva essere stato così sicuro da aver agito alle 20 di un martedì sera, nel parcheggio di un luogo frequentato come la palestra? Per mesi gli investigatori lavorarono cercando di dare risposta a queste domande, mentre il giallo di Pordenone assunse caratteri sempre più complessi. Fino a che non emerse la figura di Giosuè Ruotolo, commilitone di Ragone, che catturò i sospetti degli inquirenti.

Per i primi mesi dopo il delitto nessuno riuscì a dare un volto al killer e i sospetti non erano concentrati intorno al commilitone della vittima, che dichiarò di essere rimasto a casa quella sera. Il giorno del funerale Giosuè Ruotolo portò sulle spalle la bara del collega. Una prima svolta arrivò nell’autunno del 2015 quando, dopo essere stato sentito dagli inquirenti per diverse ore, cambiò versione sugli spostamenti della sera del delitto. Inizialmente infatti Ruotolo aveva dichiarato di essersi recato a casa dopo il lavoro, quel tardo pomeriggio del marzo 2015, e di essersi intrattenuto con giochi elettronici. L’attività però era stata interrotta, come si legge in una sentenza, da “una pausa dalle ore 19.07 alle ore 21.24, considerata significativa perché comprensiva dell’orario dell’omicidio e dell’occultamento dell’arma”.

Secondo il racconto dei coinquilini, dell’uomo, egli si era allontanato in auto, senza informare circa la propria uscita inusuale. Successivamente, date le incongruenze, Ruotolo confessò di essere uscito di casa, di essere andato al palazzetto di Pordenone per allenarsi ma, non trovando parcheggio, disse di essersi trasferito al parco di San Valentino per fare jogging. La corsa però sarebbe stata interrotta poco dopo a causa del freddo.

Nel marzo del 2016 l’ex commilitone di Trifone Ragone venne arrestato. “Abbiamo un quadro indiziario complesso che porta all’affermazione di responsabilità per Giosuè Ruotolo”, aveva confermato ai tempi, come riportato da LaPresse, il procuratore Marco Martani. “Un elemento importante – aveva spiegato il procuratore – è la ricostruzione dei tempi e la presenza delle persone sul luogo dell’omicidio: queste due variabili ci portano a dire che Giosuè Ruotolo era nel parcheggio davanti alla palestra non appena prima il momento dell’omicidio, ma durante”.

Con ordinanza del 31 marzo 2016, il Tribunale del riesame di Trieste ha confermato l’ordinanza emessa il 7 marzo 2016 dal Gip di Pordenone, che aveva sottoposto Ruotolo alla misura di custodia cautelare in carcere, accusandolo dell’omicidio di Trifone e Teresa.

A incastrare il commilitone della vittima furono diversi elementi, raccolti dagli inquirenti nei mesi successivi all’omicidio.

In primo luogo, vennero sentiti alcunitestimoni, che frequentavano l’area e che, trovandosi nella zona del parcheggio all’orario del delitto, riferirono, come riporta la sentenza, “di avere avvertito una sequenza di colpi secchi ed avvistato un’automobile marca Audi A3grigia, ferma in prossimità di una cabina contenente impianti tecnici”. Il veicolo era stato ripreso da alcune telecamere comunali, installate per il controllo del traffico: queste mostrarono l’avvicinarsi dell’auto all’area del palazzetto alle 19.19 e poi il suo allontanamento verso il centro città alle 19.50 circa.

Subito dopo l’Audi A3 era stata ripresa in sosta nel parcheggio del parco di San Valentino, all’interno del quale c’è un laghetto, in cui venne trovata l’arma del delitto. Poi alle 19.57 le immagini di videosorveglianza mostrano la macchina che torna verso il centro. Successivi accertamenti confermarono che l’Audi A3 ripresa nei video corrispondeva a quella di Ruotolo. Oltre alla marca e al colore, altri due elementi la identificarono: un fanalino rotto e un pupazzetto posto sul cruscotto.

In secondo luogo a far sospettare del coinvolgimento di Ruotolo furono alcune chat, inviate da un computer della caserma in cui Ruotolo prestava servizio: nei giorni e negli orari di invio dei messaggi, l’uomo era in servizio. L’indagato, si legge nella sentenza relativa a un ricorso, “aveva aperto un profilo Facebook anonimo, tramite il quale aveva contattato Teresa Costanza a nome di una sedicente amante del Ragone stesso per informarla della loro in realtà inesistente relazione e ciò al fine di indurre la giovane a lasciarlo”. Il piano del commilitone, confermato anche dalla sua fidanzata, non era però riuscito e anzi aveva suscitato i sospetti di Ragone, anche per la presenza di alcuni particolari che potevano essere conosciuti solo da una persona vicina.

Scopertolo, Ragone aveva minacciato di denunciare Ruotolo e, in un’occasione, tra i due era scoppiata una lite che aveva lasciato l’indagato con alcune ecchimosi e un taglio al labbro. “Parlando con i coinquilini – l’uomo – aveva minacciato che gliel’avrebbe fatta pagare. In tali emergenze era dunque rinvenuto un valido movente per realizzare l’azione omicidiaria per vendetta, dopo il pestaggio subito ad opera del Ragone e per timore che le rivelazioni di questi potessero compromettere la sua carriera e la realizzazione dell’aspirazione di ingresso nella Guardia di Finanza”.

Questi dettagli vennero confermati al tempo anche dal procuratore di Pordenone, che in conferenza stampa dichiarò: “Parlando con i coinquilini abbiamo saputo che tra Trifone e Giosuè ci fu una volta un forte litigio, dopo il quale Trifone colpì Ruotolo”. Così, in qualche mese, il giallo di Pordenone si trasformò in un delitto compiuto per vendetta e paura di una denuncia.

Nel novembre del 2017 la Corte d’Assise di Udine condannò Giosuè Ruotolo all’ergastolo con due anni di isolamento diurno. Nelle motivazioni, depositate nel marzo dell’anno successivo e riportate da ilFriuliveneziagiulia, viene confermata la presenza di Ruotolo nel parcheggio del palazzetto al momento dell’omicidio. “Ogni diversa ricostruzione del tempo in cui Ruotolo si sarebbe mosso dal parcheggio, proposta dalla difesa – si legge – prevede velocità della vettura illogiche di per sé e incoerenti con dati di fatto inequivoci”. La presenza sul luogo del delitto dell’unico imputato per il duplice omicidio di Trifone e Teresa è uno degli indizi che “per la loro gravità, univocità e concordanza, consentono di attribuire, al di là di ogni ragionevole dubbio, a Giosuè Ruotolo l’azione omicidiaria”.

Due anni dopo, la pena al carcere a vita venne confermata anche dalla Corte d’Assise d’Appello di Trieste. I giudici, stando a quanto riportò il Messaggeroveneto, individuarono un movente più complesso rispetto a quello riferito in primo grado, relativo alla paura delle compromissione della propria carriera nella Guardia di Finanza. I due ragazzi erano già amci prima dell’arrivo di Teresa e la sua presenza avrebbe scatenato la gelosia, che si trasformò in “rabbia” e “odio”. Nei messaggi delle chat i giudici hanno individuato “una carica di malvagità”, che cresceva col passare del tempo: “Montava la rabbia di Ruotolo verso Ragone e si trasmutava in odio e vera e propria sete di vendetta”. La morte di Trifone e Teresa, scrissero i giudici, fu “un omicidio premeditato“. La sentenza è diventata definitiva lo scorso gennaio, quando la Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo di Giosuè Ruotolo, per il duplice omicidio dei fidanzati di Pordenone.

Pubblicato da edizioni24

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