[L’intervista] Daniele: “I disastri di Biden sono inquantificabili. L’afghanistan affidata ai talebani, a quelli di Al Qaeda, è un pericolo che inevitabilmente ricadra’ sull’Occidente”

By Nina Z

Non si può sempre far finta di nulla. Peggio girare la faccia dall’altra parte. I disastri di Biden in politica internazionale sono evidenti anche ad un cieco con gli occhi chiusi. Ventuno anni dopo l’11 settembre, si chiude il cerchio. La giustizia americana ha le sembianze di un drone. È un’operazione chirurgica che si consuma la mattina presto. L’obiettivo è Ayman al-Zawhairi, leader carismatico e mente di un gruppo, al-Qaeda, che ha fatto la storia del terrorismo internazionale. Cosa succederà adesso? Quale futuro per l’Afghanistan? Ne abbiamo parlato con Gaetamo Daniele, già direttore Editoriale de Il Fatto e il Notiziario.

Un bel colpo per l’amministrazione Biden. Servirà a risollevare il consenso interno?

Guarda un po. È stato un grande colpo per Biden che arriva improvvisamente a ridosso delle elezioni. Infatti stava raccogliendo molte critiche per via della propria agenda, sia domestica sia internazionale. Ora si può permettere anche il lusso di appuntarsi una spilla alla giacca e che in qualche modo lo ricollega all’esperienza obamiana.

Ad un anno dal ritiro occidentale dall’Afghanistan, cosa racconta questa operazione?

Che gli americani quando vogliono sanno fare le cose, ma solo quando vogliono. E attenzionano ancora l’area, perché la lotta al terrorismo non si è conclusa con l’uscita dall’Afghanistan. Del resto, questo era forse l’unico punto ben fermo degli accordi di Doha, firmati dall’amministrazione Trump con i talebani.

La presenza di al-Zawhairi a Kabul suggerisce una verità scomoda…

Nonostante la clamorosa operazione, la coperta è corta: andando ad individuare al-Zawahiri a Kabul hanno svelato il segreto di Pulcinella, dimostrando che il rapporto tra al-Qaeda e i talebani non si è mai reciso, anzi, negli anni è diventato osmotico. La presenza di una figura di primo piano come al-Zawahiri, proprio a Kabul, sorpreso mentre se ne stava tranquillamente in balcone, prova che con i talebani al potere al-Qaeda sta vivendo una sorta di ritorno alla normalità, con possibilità di riorganizzarsi.

Cosa succederà ora?

Questa è la vera domanda: in corsa per la nuova leadership ci sono diverse figure, una di queste è l’uomo ombra Saif al-Adl, una figura storica, un qaedista della prima ora che ha tenuto un profilo più basso rispetto ad altri della sua caratura. Con lui si verrebbe a creare una sorta di anello di congiunzione tra la vecchia guardia e la nuova generazione di al-Qaeda, tra l’eredità ideologica del primo qaedismo e la militanza sul terreno. Quello che si può ipotizzare è che il gruppo andrà verso una sorta di regionalizzazione degli scenari, con i contesti africano e yemenita che avranno sempre più rilevanza. Ciò non significa che la rete non sia presente anche altrove, seppur in maniera indebolita rispetto al passato.

Potrebbe andare a beneficio dell’Isis?

Se parliamo del contesto afghano, in realtà al-Qaeda è ben integrata con l’insorgenza talebana ed ha messo profonde radici nel tessuto sociale. Quindi la morte di al-Zawahiri potrebbe avere un impatto limitato in questo senso.

L’uccisione di al-Zawahiri ha riacceso i riflettori su una regione martoriata. Qual è la situazione?

Da un anno l’Afghanistan sta attraversando una crisi profonda. Già prima era tra i Paesi più poveri del panorama internazionale, ma a partire dall’insediamento dei talebani la crisi si è acuita. È una crisi economica che si traduce in crisi umanitaria, aggravata dall’incapacità amministrativa di chi governa e dalle regole di matrice radicale che l’emirato porta con sé, che ledono diritti e libertà civili della popolazione.

Il governo sta cercando di ottenere il riconoscimento della comunità internazionale.

Sì ma la partita in gioco è complessa: per poterlo ottenere viene chiesta una serie di concessioni su diritti umani e libertà civili che per propria natura il gruppo talebano ha difficoltà ad accordare. Oltre a non riconoscerle come valide, il governo rischierebbe di incontrare non poche difficoltà a giustificarle alle frange più radicali del movimento.

Ci sono Paesi, penso alla Cina, che sulla questione sono decisamente più morbidi…

Tutti gli attori regionali, come Russia, Cina, Pakistan, Iran e Paesi dell’Asia centrale, guardano con attenzione all’Afghanistan. Gli obiettivi sono due: il primo è scongiurare una nuova crisi che faccia da moltiplicatore alle criticità con ricadute sulla sicurezza nazionale, il secondo è invece di natura economica. Puntano a favorire la ripresa del Paese per inserirlo in un panorama regionale nel quale possa diventare un interlocutore anche economico.

In Afghanistan si stima un tesoro di trilioni di dollari di terre rare. Cosa significa controllarle?

Significa conquistare un ruolo fondamentale nelle future partite internazionali. Il grande esempio è la Russia che con il gas riesce ad ottenere risultati politici. Il ruolo che stanno giocando gli idrocarburi oggi, domani lo giocheranno le terre rare. Aggiudicarsi contratti per la loro estrazione e fornitura è una partita cruciale per controllare le supply chain di settori strategici. Le terre rare sono il primo gradino delle catene di valore per le tecnologie di transizione ecologica, basti pensare alle auto elettriche.

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