L’affondo di Orsina: “Il governo Meloni durerà a lungo. Il Pd? Non è in grado neanche di impensierirlo…”

Promozione a pieni voti per il governo Meloni e bocciatura netta per la sinistra allo sbaraglio: l’ordinario di Storia Contemporanea e direttore della School of Government della Luiss, professor Orsina non ha dubbi nel commentare il post voto e l’incedere dell’esecutivo che si è formato dopo le urne. E lo riassume chiaramente dalle colonne di Libero, dove delinea – tra bilanci momentanei, prospettive e problemi in agenda – la sua analitica disamina della situazione politica italiana attuale, declinata anche al contesto internazionale e basata su quella che, a detta del politologo, una concreta possibilità: «Giorgia Meloni ha l’opportunità storica di governare a lungo. Difendere l’interesse nazionale. Ritagliarsi uno spazio importante in Europa».

E lo dice forte e chiaro Orsina, e soprattutto subito, nell’incipit dell’intervista rilasciata al quotidiano diretto da Sallusti, in cui, rispondendo alla richiesta di un commento sulle prime mosse del premier Meloni, il professore dichiara: «Ha parlato poco: ottimo. Si è mossa molto sul terreno internazionale per accreditarsi: ottimo. Ha impostato una legge di stabilità prudente e concordata con Bruxelles: ottimo. Poi il governo ha fatto delle sortite identitarie, più simboliche che sostanziali: sui rave party, l’ergastolo ostativo, i migranti…». Concludendo a riguardo: «Questo governo ha una solida prospettiva temporale davanti a sé, può permettersi di mettere in campo un paio di politiche identitarie ben meditate e serie. Lo faccia».

Sul fronte estero, poi, con la conferma immediata dell’asse atlantico, i rapporti con i partner internazionali sono ottimi. Confermati dall’incontro col segretario generale della NatoJens Stoltenberg, e dal colloquio programmato con il presidente americano, Joe Biden. Mentre, sul versante europeo, a proposito della reazione spropositata della francia sulla questione migranti, Orsina rileva una risposta della Francia addirittura «controproducente», con l’appello a isolare Roma ignorato dagli altri partner Ue. «Anzi – rimarca il professore – la Germania ha subito aperto all’Italia, ben felice di trovarsela regalata da Parigi. I francesi si sono fatti male da soli». Insomma, nessun timore di un blocco anti-italiano in Europa.

Anche perché, spiega il politologo Orsina, «il quadro europeo è troppo frammentato, gli attori sono troppo deboli per potersi permettere di isolare l’Italia. Il che non vuol dire che il governo Meloni possa fare quel che vuole, ma che ha una vera opportunità di fare politica in maniera seria e costruttivanell’interesse nazionale. La sfrutti». Perché, prosegue quindi Orsina, «il gioco europeo prevede che tutti difendano i propri interessi, purché avvolgano il nazionalismo, di fatto, in una spessa glassa di retorica europeista»… Dopodiché – sottolinea il professore – «sempre di difesa dell’interesse nazionale si tratta e questo deve fare un governo nazionale. Bisogna capire dove conviene di più difenderlo muovendosi da soli. E dove invece partecipando al gioco comunitario».

Mentre sul fronte interno, rientrate le fibrillazioni berlusconiane e con Salvini che, sostiene Orsina, «poteva rappresentare un punto di frizione», ma su cui aggiunge anche, «mi pare risolta con la conferma di Fontana», «salvo shock esterni – prosegue il professore – ad esempio sul debito, questo governo dovrebbe arrivare senza enormi scosse fino alle europee del 2024». Mentre, nel campo contrapposto, chi oggi non sembra neanche in grado di impensierire il governo è proprio la sinistra: Pd in testa. Con una premessa che arriva da Libero: «Per i democratici italiani, l’incubo è fare la fine del Partito socialista francese: 6,2% alle politiche del 2019, 1,8% alle presidenziali di quest’anno. Schiacciati, come i loro cugini d’oltralpe, tra Conte-Melenchon e Calenda-Macron».

E con lo scenario concreto che Orsina delinea e commenta: «Sì, anche se il nocciolo duro dell’elettorato del Pd, fra il 15 e il 20% circa, è piuttosto stabile e tenace. Tuttavia la crisi politica dei democratici – divisioni interne, incertezze strategiche, assenza di leadership – appare davvero profondissima. E non mi sembra sia soltanto una crisi politica, ma una ben più ampia e grave crisi culturale». Insomma, una sinistra a corto di idee e preda – incalza Orsina dicendosene sorpreso – di una «afasia dell’intellighenzia progressista». Di una «debolezza dei loro maîtres à penser». Della «ripetitività dei loro argomenti», e di una loro «sempre più flebile capacità di reazione». Concludendo che: «La crisi della cultura progressista è crisi di astrattezza, di un “mondo pensato” che si è distanziato sempre di più dal “mondo vissuto” di tantissimi italiani».

Per questo, chiosa nella sua panoramica Orsina, «gli amministratori locali del Pd» sono quelli «rimasti vicini al mondo vissuto. Ed è da loro che, secondo me, si dovrebbe ripartire». Dunque, chi in quest’ottica si avvicina maggiormente, a detta del professore, alla figura del “segretario ideale”. Del deus ex machina in grado di tirare il Pd fuori dal guado, «di quelli dei quali si parla, la figura che ci si avvicina di più è Stefano Bonaccini». E Elly Schlein che si è già candidata? «Se la mia diagnosi è corretta, no. Schlein rappresenta proprio quella cultura astratta che a me pare in profonda crisi: una cultura progressista militante. Incentrata sulla promozione dei diritti globali. Che fatica sempre di più a parlare agli italiani»… Non dimentichiamo che la concorrenza da sinistra del M5S al Pd ha fatto forza sul reddito di cittadinanza: mondo vissuto, ben più che mondo pensato. Il profilo di Schlein non mi sembra vada in quella direzione».

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