L’accordo nucleare tra Usa e Iran rischia di andare a putt***. Guerra alle porte?

“Un accordo deve essere raggiunto, perché il suo mancato raggiungimento è quasi certo porterà alla guerra, e in quella guerra non ci saranno vincitori”. Così scrive Azeem Ibrahim, direttore del Newlines Institute for Strategy and Policy di Washington, sulle colonne di The National Interest. Lo studioso afferma che “è imperativo che il presidente Joe Biden resusciti l’accordo con l’Iran per assicurarsi che Teheran non acquisisca armi nucleari. L’unico altro modo per fermare potenzialmente Teheran dal perseguire e raggiungere questo obiettivo è una guerra vera e propria. Cosa che, all’indomani dell’esperienza irachena, dovrebbe ovviamente essere evitata”.

Nonostante la buona volontà espressa dal neopresidente Joe Biden, di riesumare il Jcpoa, non sarà così semplice tornare all’interno dei confini del trattato: esistono cause strutturali, determinate, ad esempio, da 4 anni di politica sanzionatoria statunitense, che non è facile cancellare con un colpo di spugna, ed esistono cause esterne rappresentate dalla posizione di Israele a dal successo degli Accordi di Abramo che stanno normalizzando i rapporti tra Tel Aviv e i Paesi Arabi isolando sempre di più l’Iran.

“Offrirò a Teheran un percorso credibile per tornare alla diplomazia” aveva affermato Biden lo scorso settembre alla Cnn. “Se l’Iran tornasse a rispettare rigorosamente l’accordo nucleare, gli Stati Uniti tornerebbero all’accordo come punto di partenza per i negoziati successivi”. Questo percorso, però, facilmente – anzi, fatalmente – si scontrerà con quanto detto sino ad ora e con una questione altrettanto cruciale: Teheran non intende mettere in gioco nelle trattative il suo programma missilistico, che considera intoccabile, mentre da parte statunitense – ma soprattutto israeliana – viene visto come una minaccia non propriamente secondaria da eliminare per la stabilità della regione.

A complicare ulteriormente la situazione c’è la guerra asimmetrica e per procura che, da anni, si sta combattendo tra Teheran, Tel Aviv e la stessa Washington in Siria, dove le milizie filoiraniane supportate direttamente dalle Irgc (le Guardie della Rivoluzione o Pasdaran) stanno non solo combattendo in supporto dell’esercito del governo di Damasco, ma anche intessendo una rete di alleanze – con Hezbollah ad esempio – per consolidare la sfera di influenza iraniana nella regione, nel quadro di quella che è stata definita “Mezzaluna Sciita”, ovvero un arco di Medio Oriente che va dall’Iran al Libano passando per Iraq e Siria, che dovrebbe ricadere, nei piani degli Ayatollah, sotto il controllo più o meno diretto iraniano.

Gli ultimi raid aerei statunitensi su posizioni occupate dalle milizie filorianiane dimostrano, ancora una volta, che dietro l’apertura statunitense per il ritorno in vigore del trattato sul nucleare (o l’eventuale stipula di uno nuovo), la volontà è ancora quella di contenere e ridimensionare l’espansione dell’influenza iraniana in tutta la regione. Israele, da questo punto di vista, è stato sicuramente l’attore più attivo: i bombardamenti da parte della Iaf (l’Aeronautica Militare Israeliana) si sono susseguiti con cadenza quasi settimanale negli ultimi mesi, tanto da aver irritato anche Mosca, che in almeno una occasione ha redarguito Tel Aviv, avendo personale militare coinvolto nei combattimenti in Siria.

Ma soprattutto sulla scorta dell’incidente avvenuto a settembre del  2018, quando un velivolo da ricognizione elettronica Il-20M è stato abbattuto per errore dalla contraerea siriana durante un attacco portato dagli F-16 israeliani. Da allora Mosca e Tel Aviv hanno istituito un canale di comunicazione diretto per evitare il ripetersi di simili incidenti, ma evidentemente l’escalation dei raid preoccupa il Cremlino, e non per la sopravvivenza del regime siriano, avendo sempre lasciato campo libero a Tel Aviv per le sue incursioni nello spazio aereo di Damasco.

Tornando alla questione del nucleare iraniano, il ricercatore afferma, giustamente, che “l’accordo con l’Iran era gravemente imperfetto, in un modo che lo ha reso insostenibile fin dall’inizio”, nonostante l’enorme risultato diplomatico ottenuto dall’amministrazione Obama, ovvero quello di aver portato gli Ayatollah al tavolo delle trattative con “il grande Satana” per la prima volta nella storia. Secondo Ibrahim, dicevamo, l’accordo ha “contenuto con successo la capacità nucleare dell’Iran, ma ha lasciato campo libero a Teheran per attaccare altri interessi e alleati americani in Medio Oriente”. Una visione comunque parziale, la sua, proprio per via della non considerazione dell’arsenale missilistico, vero nodo di Gordio della trattativa.

Dubitiamo fortemente, infatti, che si possa mai discutere del conflitto per procura in atto e dell’attività iraniana di sostegno a entità come gli Houthi, che stanno conducendo una guerra in Yemencontro l’Arabia Saudita ed i suoi alleati locali. Se gli iraniani hanno posto dei paletti insormontabili riguardo il loro arsenale missilistico, definito “intoccabile”, di certo non metteranno mai in discussione apertamente i loro progetti di espansione della sfera di influenza, né tanto meno gli Stati Uniti offriranno la cessazione dei bombardamenti in cambio del ritiro dalla Siria, e crediamo che, in fondo, lo status quo porti un tornaconto non indifferente a Washington: fornisce il pretesto per continuare ad avere truppe in Medio Oriente ed in particolare in quel Paese dove la Russia sta aumentando la sua “impronta” militare.

Tornando alla tesi del ricercatore, il dottor Ibrahim ritiene che ci sia il pericolo che il non raggiungimento di un accordo permetta ai “falchi” anti-Iran statunitensi di inserirsi nella questione diplomatica per impostare gli Usa sulla via dello scontro militare diretto con Teheran, e Washington, sostiene, certamente non ha carenza di falchi anti-iraniani che erano (e sono) desiderosi di fare proprio questo. Quindi, come detto, ritiene che sia imperativo per gli Stati Uniti recuperare l’accordo con l’Iran per assicurarsi che Teheran non acquisisca armi nucleari, altrimenti sarà guerra aperta.

Un’eventualità che, all’indomani dell’esperienza irachena, dovrebbe ovviamente essere evitata: l’Iran è un paese molto più grande e più potente dell’Iraq, ed il popolo iraniano, anche quelli che detestano il governo islamista, odierebbero ancora di più l’intervento occidentale e si mobiliterebbero contro le forze d’invasione. Per non parlare del fatto che l’Iran ha stretto legami economici e strategici con la Russia e con la Cina, ed entrambi aiuterebbero lo sforzo bellico di Teheran. La guerra pertanto sarebbe una linea d’azione rovinosa per gli interessi statunitensi e Washington, dice ancora Ibrahim, potrebbe non perdere quella guerra, ma è probabile che perderà la pace. Come avvenuto in Iraq e in Afghanistan, aggiungiamo noi.

iran mappa politica

Il ricercatore considera inoltre che, dall’altra parte della barricata, anche l’Iran è pieno di “falchi”, per questo motivo Washington deve fare delle concessioni, come ad esempio ammettere che il popolo iraniano forse merita una sorta di risarcimento per le difficoltà economiche a seguito della reimposizione delle sanzioni da parte dell’amministrazione Trump. Sostanzialmente è quanto avevamo individuato parlando del futuro del programma atomico iraniano: una sorta di apertura per gradi da entrambe le parti per dimostrare la propria buona volontà.

Da parte iraniana si potrebbe chiudere i reattori ad acqua pesante (ovvero quelli che producono plutonio immediatamente utilizzabile per le bombe nucleari) e da parte statunitense si potrebbe contestualmente decidere di ridurre le sanzioni internazionali. Chissà, quindi, se i colloqui attualmente in atto tra delegatidella Corea del Sud e dell’Iran, in merito agli assetti finanziari iraniani “congelati” a Seul, non sia un tentativo della Casa Bianca di “mandare avanti l’amico” per parlare col nemico.

Il dottor Ibrahim afferma, quindi, che in una guerra guerreggiata “non ci saranno vincitori” perché “Washington perderà status, denaro, potere e le vite dei soldati americani, mentre il governo islamista dell’Iran cesserà di esistere e milioni di persone innocenti prese in mezzo soffriranno e moriranno inutilmente” ovvero uno scenario che “nessuno può permettersi”. Ed è proprio per questo che non accadrà: gli Stati Uniti non possono permettersi una campagna come quella irachena, e l’Iran sa che, nonostante sia in grado di infliggere pesanti danni al nemico (e ai suoi alleati in Medio Oriente) grazie al suo poderoso arsenale missilistico, il regime degli Ayatollah verrebbe spazzato via.

Pubblicato da edizioni24

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