La Schlein batte Bonaccini e si prende il Pd coi voti di ex pci e grillini

Vince (smentendo il voto degli iscritti al Pd) la neo-tesserata Elly Schlein. E l’effetto deja-vu è impressionante: all’improvviso tornano, col sorriso dei trionfatori, i volti di un passato che sembrava archiviato dalla storia fallimentare del Pci e della sua eredità: rispunta Achille Occhetto, esulta Pierluigi Bersani, ride sotto i baffi Massimo D’Alema, trattiene a stento il pugno alzato Goffredo Bettini.

Perché, come insegna il Gattopardo, nulla è in grado di rivitalizzare, preservare e ridare smalto al passato quanto travestirlo da «cambiamento». E in un partito tramortito dalla sconfitta elettorale e sotto choc per la vittoria della destra, l’operazione ha funzionato. Un «rinculo identitario», come lo definisce un dirigente schierato con Stefano Bonaccini, che rischia di avere effetti profondi e a lunga scadenza sul principale partito del centrosinistra. A cominciare dal ritorno di fiamma per il populismo contiano, apertamente teorizzato da tutti i principali sostenitori di Schlein: Boccia, Franceschini, Articolo 1, Bettini e chi più ne ha più ne metta.

Nella notte si maneggiano i dati con cautela. Ma «siamo in testa in 14 regioni», annunciano dal comitato Schlein. E dopo le 22 appare chiaro che, anche se arrivasse un forte recupero dal Sud (in parte schierato con Bonaccini), non sarebbe sufficiente a recuperare il gap del voto delle città e delle regioni più popolose, come Lazio e Lombardia. Nel quartier generale degli sconfitti c’è un silenzioso smarrimento. «Comunque vada è una grande festa di democrazia, un dato che ci dimostra che Pd più vivo che mai», si limita a dire Dario Nardella. A ora di pranzo la paura del ribaltone rispetto alle chiarissime scelte degli iscritti dem, in stragrande maggioranza pro-Bonaccini, inizia a circolare sotto traccia. «É in atto un tentativo di Opa esterna sulla segreteria Pd», sussurra ai compagni di partito l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Ai seggi si registra un afflusso superiore al previsto, soprattutto nelle grandi città: «Un voto che inevitabilmente tende a premiare Elly Schlein», osserva Gianni Cuperlo. L’ «Opa esterna» di cui parla ironicamente Guerini è quella di chi non vota e non appoggia il Pd ma altri partiti (rosso-verdi, Cinque Stelle, i residuati bellici del dalemiano Articolo1) che, secondo gli scrutatori di molti seggi, soprattutto nei pi si starebbero presentando a votare molti simpatizzanti di altre forze politiche, quelle interessate ad uno slittamento radical-populista e putinian-pacifista del Pd, a una sua rinuncia al ruolo di perno politico del centrosinistra e alla «vocazione maggioritaria» di veltroniana memoria, per slittare progressivamente verso il connubio con i Cinque Stelle.

Con l’elezione del nuovo segretario, a quasi sei mesi dalla pesante sconfitta alle politiche di settembre, si chiude l’era Letta. «Questo partito – dice lui – ha bisogno di unità e di una leadership che sia in grado di dedicarsi più a quello che succede fuori che a quello che succede dentro fra le diverse anime. L’augurio è che abbia la possibilità di fare meglio di quanto abbia fatto io. Sarò lì ad aiutare discretamente dal mio posto, senza sgomitare». Una preoccupazione del segretario uscente è sul tema più epocale e dirimente di questi anni: la guerra in Ucraina e la scelta tra il sostegno alla eroica resistenza di un popolo invaso e massacrato, e il via libera all’invasore mascherato da «pacifismo». L’ultimo atto da segretario di Letta è stato andare all’ambasciata ucraina e manifestare sotto le bandiere di Kyev nel primo anniversario della guerra. Il rischio di slittamento progressivo del Pd verso la linea filo-russa del «niente armi» e niente Resistenza, incarnata dai 5 Stelle, si avvicina pericolosamente.

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