La lezione del Prof. Prodi che suona come un disco rotto: “Se vince la destra democrazia meno liberale”. Ma sogna il bavaglio per chi critica il Pd…

Li definisce «irragionevoli» e «politicamente incomprensibili». Dopo Laura Boldrini, anche Romano Prodi lamenta il fatto che M5S e Calenda criticano il Pd, parlando di attacchi che sarebbero «un vero accanimento» e che piuttosto dovrebbero essere condotti contro la destra che, signora mia, se vince chissà dove ci porterà. A sinistra, insomma, a questo punto della campagna elettorale, prende piede con sempre maggiore veemenza l’idea che i dem non si possano e non si debbano criticare, perché altrimenti si rischia di avere una «democrazia meno liberale». Un ragionamento davvero bizzarro, di cui non solo non sfuggono le contraddizioni ma che consolida l’idea di una sinistra davvero all’ultima spiaggia.

È, del resto, un mondo raccontato tutto alla rovescia quello che emerge dall’intervista a Romano Prodi pubblicata dal Corriere della Sera di oggi. Secondo il professore, infatti, mentre gli altri partiti stano basando la loro campagna sulla mera propaganda, magari anche piuttosto aggressiva, Letta sarebbe l’unico a parlare di contenuti. «Sento molti slogan urlati dagli altri partiti, che coltivano il piccolo interesse e guardano al breve periodo. Lettainvece ha un modo serio di affrontare le questioni ed è costretto a lottare in un contesto e in un Paese che non sembra voler ascoltare spiegazioni, ma solo slogan», ha sostenuto Prodi, che sembra dimenticare il contributo fondamentale del Pd per condurre la campagna elettorale su questo crinale.

Il professore se la prende, quindi, con pentastellati e terzopolisti. «Questi continui attacchi al PD da parte Fei 5 Stelle e Calenda, sono irragionevoli, ma soprattutto politicamente incomprensibili. C’è un vero accanimento: considerano il Pd come l’unico nemico. Ma dov’è la ragione? Non pensano anche al loro futuro? Che ritorno possono avere in un Paese con una maggioranza assoluta di destra? È questo il loro disegno? Lo trovo un atteggiamento surreale, postmoderno». E perché mai? La risposta è presto detta: il fascismo è alle porte e bisogna che tutti si uniscano per fermarlo. Prodi non lo dice in questi termini, ma in fondo non serve. Gli basta evocare la Francia, rispondendo alla domanda se «chi evoca il fascismo» faccia il gioco di Giorgia Meloni.

«I francesi commentano: noi abbiamo la Le Pen e la consideriamo erede di ideologie che mettono a rischio il nostro sistema; in Italia hanno la Meloni, che è più a destra della nostra Le Pen, ma non se ne preoccupano. Secondo i francesi, quindi, gli italiani preferiscono sempre stare a vedere». «Probabilmente – ha proseguito Prodi – i francesi vedono giusto e io non posso non preoccuparmi pensando a quanto questo atteggiamento ci costerà». Ed eccolo lì il solito disprezzo per il voto popolare e per gli elettori da cui la sinistra non riesce davvero a liberarsi e che emerge anche se si cerca di nasconderlo dietro il paravento di ciò che pensano (o penserebbero) i francesi.

«Urlare al lupo al lupo non serve. Ma va fatta una riflessione. Dobbiamo riflettere sul modello di democrazia e di Stato che vorremmo e che rischiamo di avere. Non è certo quello ungherese o polacco il modello di democrazia europea! Se il centrodestra dovesse raggiungere i suoi obiettivi, questo porterebbe a una democrazia meno liberale. A un Paese che non tiene conto del futuro. Purtroppo siamo arrivati a questo anche per la responsabilità dei partiti tradizionali che hanno perso il contatto con i cittadini. Gli eventi di questi giorni dimostrano che i partiti basati su un leader personale hanno sempre una pericolosa volubilità istituzionale». «In fondo, con tutti i suoi difetti e i suoi errori, il Pd rimane, come dice il suo nome, un partito democratico», ha concluso Prodi, che molti suoi sodali sembra però dimenticare che il partito davvero democratico è quello che riconosce la sovranità del voto popolare e la piena dignità del suo giudizio.

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