By Massimo Malpica
E adesso? Ora che il sogno di rientrare in Italia è divenuto realtà, a Chico Forti rimane la lotta per riconquistare la libertà. Un obiettivo che negli Usa era un miraggio, poiché l’imprenditore era stato condannato all’ergastolo senza condizionale. Un rigidissimo quanto diffuso (sono oltre 41mila, oggi, i condannati che si trovano in questa condizione nelle carceri degli Stati Uniti) «fine pena mai» che Oltreoceano comporta, di fatto, la morte in carcere per il detenuto. In Italia, invece, la funzione rieducativa della pena è un principio riconosciuto dalla Costituzione, tanto da togliere all’ergastolo il carattere della perpetuità. Persino Beniamino Zuncheddu, l’ex pastore ingiustamente condannato all’ergastolo e riconosciuto innocente dopo 32 anni di detenzione, era da anni in semilibertà.
Forti, insomma, non dovrebbe restare troppo a lungo in cella. Per quanto l’accordo con gli Usa per il rimpatrio preveda che l’Italia applichi la sentenza di condanna americana, qui da noi la legge prevede che anche un ergastolano, scontati 26 anni, possa chiedere la libertà condizionale: ne bastano 20 passati dietro le sbarre per essere ammesso al regime di semilibertà, e dieci per i permessi premio. Forti, come è noto, è rimasto chiuso nella sua cella del South Florida Reception Center, tra le paludi della periferia ovest di Miami, già per 24 anni. Il tempo per riassaporare la libertà, per lui, è tutt’altro che lontano. Già ieri peraltro l’uomo, appena arrivato nel carcere di Verona che sarà per ora la sua nuova casa, ha chiesto un primo permesso. Quello per andare, con urgenza, a Trento a trovare sua mamma, Maria Lonar Forti, che ha 96 anni e che non lo vede dal 2008, quando la donna volò negli Usa per incontrare il figlio in carcere. Un assaggio di libertà, dunque, è dietro l’angolo, in attesa che maturino le condizioni per la semilibertà o i tempi per la condizionale.
Al momento, anche se Forti è tornato sul suolo natio, sul punto tutti gli attori tengono un profilo bassissimo. Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani (nella foto) ha evitato l’argomento «fine pena», limitandosi a ribadire che «continuerà a scontare l’ergastolo» nelle carceri italiane e «poi si vedrà».
Ribadendo che l’Italia non si comporterà come fece con Silvia Baraldini, condannata negli Usa a 43 anni per reati connessi al terrorismo nel 1983 e mandata ai domiciliari 19 mesi dopo il rimpatrio, avvenuto nel ’99.