La Cartabia gira le spalle alle toghe politicizzate

Un magistrato che fa politica non potrà più rimettere la toga ma saranno inseriti in un apposito ruolo presso il ministero della Giustizia. Di fatto un stop definito alle porte girevoli tra magistratura e politica, una prassi consolidata in Italia. È questa la novità nella riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario a cui sta lavorando il Guardasigilli, Marta Cartabia, che verrà portata nel prossimo Consiglio dei ministri.

L’ipotesi è emersa in un tavolo tra il capo dell’Ufficio Legislativo del ministro e l’Anm (Associazione Nazionale Magistrati). In sostanza un magistrato che sceglie la politica (a tutti i livelli, anche solo da candidato non eletto) non potrà tornare indietro, potrà solo ricoprire un incarico nell’amministrazione ma non fare di nuovo il pm o il giudice. «Ci sono novità nel rientro in ruolo dei magistrati dall’esperienza politica, a tutti i livelli – ha spiegato al direttivo dell’Anm il presidente Giuseppe Santalucia -. Nella prima audizione al ministero ci avevano detto che si andava fuori dalla circoscrizione con limiti funzionali, ora sembrerebbe ritornare la versione più forte, già prevista dal ddl Bonafede, per cui il magistrato rientrerà nei ruoli dell’amministrazione. Chi ha avuto esperienza politica e rientra in ruolo non potrà più esercitare giurisdizione ma per lui si creerà un ruolo presso il ministero della Giustizia, dove verrà riassegnato». La formulazione iniziale era quella sostenuta dal Pd, con una serie di limitazioni all’assegnazione di un nuovo incarico ad un magistrato dopo l’esperienza politica, ma senza chiudere le porte girevoli.

La Cartabia si è invece orientata sulla versione più dura, sostenuta dal centrodestra ma anche dal Movimento Cinque Stelle, che già aveva ipotizzato questo stop nella riforma Bonafede.

A riprova di come il vento, sui temi della giustizia, sia cambiato (forse anche merito del successo nella raccolta firma dei referendum promossi da Lega e Radicali), il leader M5s Giuseppe Conte ha twittato: «Terzietà e indipendenza della magistratura sono i nostri irrinunciabili capisaldi. Il giudice deve essere e apparire terzo: perciò diciamo stop alle porte girevoli! Se un magistrato viene eletto poi non torna nelle aule dei tribunali. Si confermi l’impianto della Bonafede sul Csm».

Che si tratti però di un «tema spinoso», lo sottolinea il segretario nazionale dell’Anm, Salvatore Casciaro, secondo il quale sarebbe persino incostituzionale. L’ipotesi che i magistrati che hanno avuto un’esperienza politica non possano rientrare in ruolo nella giurisdizione «si pone in palese frizione con la norma costituzionale dell’art. 51 che assicura a chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive di conservare il suo posto di lavoro» commenta Casciaro. «Un conto è fare il magistrato, altro è occuparsi di amministrazione attiva. Confido che tali aspetti vengano rimeditati, magari prevedendo, per il magistrato che fa rientro nella giurisdizione, stringenti limiti geografici e funzionali». La versione soft, chiesta dal Pd.

Se i vertici dell’Anm puntano a correggere l’impianto, altri magistrati concordano sullo stop. «Io sono perfettamente d’accordo sull’esclusione delle cosiddette porte girevoli tra politica e magistratura: cioè, quando si esce, si esce» dice a Tv2000 il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho. «Quel che connota il magistrato è la sua imparzialità. Nel momento stesso in cui si entra in una forza politica piuttosto che in un’altra si finisce per fare una scelta, perciò stesso mi sembra che quell’imparzialità venga meno».

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