Il J’accuse del gup contro i giudici Marra e Cascini

Ne andavano incriminati in diversi, all’interno del Consiglio superiore della magistratura, per la incredibile storia dei verbali segreti del caso Eni sulla loggia Ungheria insabbiati a Milano. Per avere divulgato quei verbali, l’ex pm Piercamillo Davigo è sotto processo a Brescia. Ma quei verbali circolavano anche in altre mani. «All’interno del Csm vi erano state inescusabili omissioni che non possono trovare giustificazione alcuna per chi ha avuto in mano quei verbali, li ha letti e poi distrutti» o ne ha addirittura discusso con Davigo «aldifuori dei doveri istituzionali che l’alto incarico di componente del Csm imponeva».

Sono dirompenti le motivazioni con cui il giudice Nicolò Marino del tribunale di Roma ha prosciolto dall’accusa di calunnia Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo al Csm. Secondo la Procura di Roma, la Contrafatto era la mittente dei plichi mandati a Repubblica e al Fatto Quotidiano con i verbali del pentito Piero Amara, e ancora prima di quello spedito al consigliere del Csm Antonino Di Matteo. Nei verbali era sottolineato il nome di Francesco Greco, allora capo della Procura di Milano, con due frasi a stampatello: «Altri verb. C’è anche lui».

Quella grafia, sosteneva la Procura, era della Contrafatto. Ora la donna viene assolta, sulla base di una nuova perizia grafica, e della testimonianza della giornalista di Repubblica che – nonostante i ripetuti contatti telefonici – nega di averla mai vista né sentita. Ma il proscioglimento della Contrafatto non sgonfia il caso, anzi lo allarga a dismisura. Il giudice trasmette gli atti alla Procura perché valuti l’incriminazione di due big delle correnti organizzate: Giuseppe Cascini, di Area, che sta per rientrare in servizio come pm a Roma; e Giuseppe Marra, della stessa corrente di Davigo, Autonomia e Indipendenza, in procinto di tornare a Torino. Ma il cerchio degli indagabili è ben più ampio. E a venire investito dall’accusa è l’intero Csm, teatro secondo la sentenza di una «congiura di palazzo» con innumerevoli congiurati.

Chiunque avesse avuto in mano quei verbali, a partire dal vicepresidente del Csm David Ermini, aveva un solo dovere: «ovvero la denuncia alla competente autorità giudiziaria». E ancora: «È stato possibile introdurre e divulgare all’interno del Csm verbali dal contenuto potenzialmente devastante per le istituzioni senza scandalizzarsi e senza denunciare». Davigo resta il primo colpevole, ma non l’unico: «Il consigliere Davigo, nonostante la sua straordinaria esperienza, ha purtroppo imboccato la strada sbagliata, e con lui altri». I giudizi più pesanti il giudice li riserva al davighiano Marra, che andrebbe incriminato per soppressione di corpo di reato e omessa denuncia: «È veramente allarmante che un magistrato togato, componente del Csm, prima di distruggere i verbali si sia confrontato con il dottor Davigo raggiungendolo a Milano».

A venire indagata, sempre secondo il giudice, avrebbe dovuto essere anche l’altra segretaria di Davigo, Giulia Befera, ammalata di «preoccupante protagonismo» nella sua infatuazione per Davigo che il Csm stava per mandare in pensione («si liberano dell’ultimo baluardo della legalità»). Anche la Befera, rimarca il giudice, poteva avere accesso ai verbali di Amara, custoditi nell’ufficio di Davigo. La verità, conclude il giudice, è che vi furono «almeno due diverse tranche di divulgazione dei verbali di Amara, una che passa da Milano e l’altra da Roma». Chissà se l’inchiesta-bis arriverà a capirci qualcosa.

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