“Il comunismo è emancipazione”. Qualcuno fermi la filosofa, è matta?

Ora gli intellettuali progressisti ci fanno pure la doppia morale sulla Storia. Vengono cioè a spiegarci che il comunismo avrebbe avuto connotati positivi, a differenza del fascismo. E i soprusi commessi in nome della bandiera rossa? Trascurabili dettagli, probabilmente. Piccoli incidenti di percorso. Addentrandosi in una dissertazione tra passato e attualità, la professoressa Donatella Di Cesare ha abbozzato nelle scorse ore un ragionamento che ci ha lasciati alquanto attoniti. Durante il dibattito sul 25 aprile in corso a diMartedì, su La7, la filosofa romana si è infatti rifiutata di mettere i due totalitarismi sullo stesso piano e ha approntato dei distinguo storicamente discutibili.

A me non piace questa retorica di mettere due totalitarismi sullo stesso piano, perché questo, soprattutto in Italia, è inaccettabile“, ha affermato Di Cesare in tv. Poi il pezzo forte (e più opinabile) del suo ragionamento. Ovvero la distinzione tra le due forme di estremismo politico. “Il comunismo non è lo stalinismo e quindi anche questa equiparazione è sbagliata. Il comunismo è stato ed è un progetto politico di emancipazione, mentre il fascismo è sin dall’inizio un progetto di perversione ed è connesso al nazismo“, ha argomentato la professoressa, senza che nessuno osasse contraddirla o farle presente le evidenti lacune di fondo di quelle sue teorie.

Il comunismo, infatti, è stato anche (e soprattutto) foriero di violenze, di costrizioni, di libertà negate, di rappresaglie e di purghe. Nulla a che vedere con la ricostruzione irenica proposta dalla docente universitaria. Per condannare l’ideologia rossa, peraltro, Di Cesare avrebbe anche potuto fare a meno di ricordare lolocausto sovietico con i suoi 60 milioni di mort. Le sarebbe bastato parlare dei vari regimi comunisti che hanno infestato l’Europa o, per andare più lontano, dei campi della morte dei khmer rossi, che hanno sterminato tre milioni di persone. Forse non erano anche quelle delle degenerazioni politiche? Oppure, limitandosi all’Italia, avrebbe potuto spiegare che alcuni partigiani comunisti desideravano destituire il fascismo non per ripristinare la libertà, ma per introdurre un’altra dittatura di segno opposto. Non tutti gli antifascisti erano democratici. Citando poi i libri di Giampaolo Pansa, avrebbe avuto l’occasione di ricordare anche le nefandezze compiute durante la guerra civile.

Eppure, tutte quelle circostanze non hanno trovato spazio nel suo ragionamento. Diversamente, la filosofa ha ribadito: “Quello che è inquietante (…) è che nella destra di Giorgia Meloni si vede una continuità. Il problema di condannare il fascismo sta evidentemente anche nel fatto che vengono riproposte delle politiche che ricordano molto da vicino delle politiche del passato”. Impossibile non cogliere una certa contraddizione di pensiero tra la caccia al presunto ritorno del fascismo e il silenzio su alcuni avvimenti – invece accertati – appartenenti alla storia.

L’unico ad avanzare obiezioni alla docente è stato il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri. “Non ho la stessa idea minimalista della professoressa sui danni che ha fatto il comunismo. Le manderò il libro nero del comunismo che racconta quanti milioni di persone, in tanti parti del mondo e in nome del comunismo, sono state massacrate. Non solo da Stalin, e questo continua ancora… La Cina è una dittatura comunista e ci vivono un miliardo e mezzo di persone, oggi a quest’ora”, ha affermato l’ex ministro proponendo qualche dato di inesorabile realtà.

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