Il campo largo di Letta è come una bomba ad orologeria, gli sta per esplodere in faccia: dem, cattocomunisti, pacifisti e Conte all’attacco

Il campo largo per Letta rischia davvero di restringersi sempre di più. Il segretario del Pd, sotto il fuoco amico di ingombranti esponenti dem votati alla causa del pacifismo d’antan. E con l’imbarazzante posizione assunta da Conte con il no alle spese militari che l’accordo con la Nato impone di incrementare, si trova nella difficile situazione di guardarsi le spalle e anche alla sua sinistra. Nella controversa situazione di dover scegliere tra l’amico americano, l’ami-nemico Giuseppe Conte e i cosiddetti amici del Nazareno in fermento dall’esplosione della guerra russa in Ucraina.

Con una sola certezza: a sinistra, chi freme per i dissidi interno perché teme crepe nel suo rapporto con gli Stati Uniti è proprio lui: Enrico Letta. Con i soli Piero Fassino e il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, in coda. E pochi altri. Il resto, per il padrone di casa al Nazareno, è solo un terreno minato, che rischia di saltare in aria al primo passo falso

Il resto, all’interno del Pd, e appena fuori la porta di Largo del Nazareno, in casa M5S, è a rischio fronda ogni minuto che passa. E in tempi di guerra nel cuore dell’Europa, il dissenso pesa il doppio. Come commenta Liberoin un approfondimento sulle grane interne al Partito democratico, infatti, «se prima, nel Pd, una certa “eterogeneità” era ritenuta utile, perché consentiva di pescare voti nell’antiamericanismo, adesso che il confronto con la Russia è al primo punto dell’agenda di Biden l’affidabilità atlantica diventa un requisito necessario».

E Letta, costretto dalle circostanze a camminare sulle uova, si ritrova a dover decidere un cambio di passo. Ma in quale direzione? Circondato dai cecchini del Pd. E in ostaggio dei turbolenti alleati pentastellati, il segretario dem è in evidente difficoltà. E se tutto ciò ancora non bastasse, ad appesantire la zavorra che si tira dietro, ci si mettono anche comunisti e cattocomunisti della prima ora, che in certe zone, e in momenti nevralgici come quello in corso, rappresentano lo scheletro della sinistra e un ulteriore fazione a cui dare conto.

Come dimostra il gruppo dei “rossi toscani” che ha appena indirizzato al parlamento e al premier Draghi un appello in cui si legge che «l’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil, chiesto dalla Nato, è non soltanto eticamente inaccettabile, ma politicamente sbagliato». Tra i firmatari dell’iniziativa nomi di peso del calibro degli ex presidenti di regione Vannino Chiti, Claudio Martini ed Enrico Rossi. La prodiana di ferro Rosy Bindi che, alla richiesta di aiuti militari avanzata da Zelensky e garantita dal governo, propone in alternativa «una terza via tra mainstream bellicista e pacifismo impolitico».

“Compagni” che stanno mettendo a dura prova – e sicuramente in imbarazzo – il leader di un partito sempre più frazionato e a ranghi scomposti, con fazioni e cani sciolti, l’uno contro l’altro armati (tanto per rimanere nella metafora bellica)… Personalità politiche e motivazioni partitiche che costringono Letta a porsi uno spinoso quesito? Tutti insieme, quanto possono minare nelle fondamenta in corso di costruzione del “campo largo” gli attivisti M5S filorussi e filocinesi, i cattolici pacifisti e i dem legati all’Anpi della vecchia scuola antioccidentale?

E soprattutto, a quanto ammonta il loro peso sullo scacchiere internazionale? Potrebbero, dopo le elezioni, essere le pedine in grado di dare scacco matto agli Usa e ai signori della guerra? Domande. Dubbi. Sospetti che avvelenano l’aria che circola in Largo del Nazareno in questi giorni. Interrogativi a cui, sostiene il quotidiano diretto da Feltri, Letta starebbe azzardo una risposta rimettendo in campol’opzione del proporzionale. Una possibilità fino a poco tempo rivendicata solo da alcuni – con Zingaretti in testa a tutti – e che ora prende piede, fino a scalare la vetta del Pd (e a tentare il vertice).

Passare dal modello elettorale vigente, che obbliga a coalizioni ampie e spesso forzate da costrizioni meramente numeriche, al proporzionale, col quale ognuno si presenta da solo, stigmatizzerebbe un “tana libera tutti” che affrancherebbe i singoli dall’obbligo di sopportarsi a vicenda. Ma, soprattutto, liberebbe Letta dal vincolo di rapportarsi ai diktat di Conte, grillini e compagnia filo-putiniana cantante, che pesano come macigni sull’alleanza atlantica. E con un ribaltone sulla sua stessa posizione, il segretario salverebbe capra e cavoli, pur chiamandolo a una decisione manichea: stare con l’avvocato pugliese o prediligere l’amico americano. A Letta l’ardua sentenza…

Pubblicato da edizioni24

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