I politici di sinistra sull’orlo di una crisi di nervi: costretti a “gufare” che il governo Meloni duri poco, come se fosse un fidanzamento di convenienza o di facciata

Prima con mormorìi, a mezza bocca. Adesso dai sussurri passano alle grida. Giorgia Meloni sarà premier, ma durerà un anno. Forse meno. Ecco la “profezia” che viene veicolata. Soprattutto nelle stanze e nei ripostigli dell’establishment. A Roma, a Bruxelles.
Si evoca il fantasma del primo governo Berlusconi. Mattarella viene accostato a Scalfaro; sovrapposizioni improprie. Per i tempi e le persone. Paragoni con ere politiche troppo distanti. Sono trascorsi quasi trent’anni. Renzi é più generoso: concede a un governo Meloni due anni, poi ci penserà lui. La verità é che il traguardo del trenta per cento a cui FdI si avvicina, incenerisce  ogni ipotesi diversa dalla vittoria del centrodestra; non c’è neppure “spes contra spem”: i sondaggisti sbagliano, ci sono collegi contendibili, il pareggio, gli indecisi. Roba vecchia. Cassetta di attrezzi arrugginiti. É tirata fuori quando sei sotto – e di assai – a pochi giorni dal voto. Per non perdere pure i tuoi che ti hanno seguito fin qui. L’intellighentsiaprogressista lo ha capito. Mette ora in campo questo altro ordito. Comunicativo e strategico.

La breve durata. La tesi della parentesi. Da superare in poco tempo. Una brutta miniatura dell’idea di Croce: un’aspettativa politica incapacitante. La esplicitaStefano Feltri, astuto priore dei “debenedettini: “Quando Salvini e Meloni esploderanno ed é solo questione di tempo…”. Lo dà per certo. Ecco qui. Sulla “rive gauche” sono al post. Le elezioni le hanno archiviate come perse. E puntano sul fallimento del governo che partoriranno le urne. Non ancora nato, gli danno vita corta. Ma é un rito consolatorio. Anche questo conosciuto tra chi ragiona la politica: dei perdenti che non  accettano di perdere. É un chiudere gli occhi dinanzi al principio di realtà: un autotrasportarsi al di là dei prevedibili risultati. É non volerci fare i conti. Che si prospettano amari. Con traumatiche conseguenze sulle leadership sconfitte.

Il “male oscuro” della sinistra é questa attesa della defaillance della destra. Un itinerario alternativo a quello della Meloni: fare anni di opposizione. Chiara. Coerente. Lontana dai ministeri. Dalle leve di comando. Costruire da lì il tracciato per il governo. Senza scorciatoie. A sinistra non sono abituati. Non hanno il ceto politico per farla. Sono invecchiati dentro esecutivi non espressi dagli elettori. Così negano al centrodestra il diritto di governare. E alla destra di guidare per la prima volta un governo della Repubblica. Dico una cosa forse non del tutto comprensibile: le “prime volte” dovrebbero essere festa di democrazia. Di tutti. Anche tra avversari. La “prima” della destra; la “prima” di una donna. Di un’italiana. Giovane. Dovrebbe. Perché é il popolo che lo fa. É la Nazione che scrive una pagina della sua biografia. Inedita. E lo fa con la volatilità tipica del contemporaneo che viviamo. É una strada, dopo che ne ha provate altre. Fallite. Auspicare – e adoperarsi – perché un governo duri poco, é negare valore alle scelte dei cittadini. Alla sovranità del popolo. Anche a noi stessi. Come comunità nazionale. Le cui “parti” –  i partiti – si alternano a guidarla. A turno. Nessuno per sempre. Un governo, ma anche un’opposizione, di legislatura, é invece la via giusta. Che presuppone, per chi perde, gambe buone e fiato lungo. E cambiamenti. Partendo da errori e abbàgli. Di cui la politica si condisce. Aspettiamo il voto. E il governo che verrà. Che sia forte e stabile. Nell’interesse nazionale. Ci vorrà un’opposizione. Che faccia l’opposizione. É quella la via maestra. Della sinistra, se così sarà. Che può ritrovare le tracce del tragitto fatto dalla destra. E mutuarne il percorso. Nel reciproco scambio dei ruoli. É la democrazia.

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