I grillini garantisti del proprio culo.. Si preoccupano del “vaffa” della base

C’è chi fa rispondere la moglie al telefono per dire che no, non vuole commentare. Chi approfitta del sabato per una gita fuori porta e chi parla solo sotto la promessa dell’anonimato. La svolta garantista di Luigi Di Maio è coraggiosa perché mette in imbarazzo il suo stesso partito. E così, il giorno dopo la lettera al Foglio, nessuno sa cosa fare. Il Movimento neo-garantista non esiste, se non nelle parole del ministro degli Esteri. Infatti anche quelli che sono d’accordo con lui, che sono la maggioranza, non vogliono uscire dal silenzio. Gli eredi del Vaffa di Beppe Grillo sono spaventati dai Vaffa che potrebbero ricevere dagli attivisti. «Hanno paura di essere chiamati traditori sul territorio», dicono dai Cinque Stelle. In un momento di massima incertezza per quanto riguarda terzo mandato e ricandidature, con i sondaggi in picchiata, temono di giocarsi con il garantismo i voti nei loro collegi di provenienza. Dove i militanti, da anni, sono abituati ad azzannare gli avversari politici di turno colpiti anche per un semplice avviso di garanzia. Sono timidi soprattutto i parlamentari al primo mandato. Proprio quelli che temono di più per le loro poltrone. «Tanto Di Maio comunque un futuro ce l’avrà lo stesso», è il ragionamento di chi pensa che il ministro degli Esteri stia giocando una sua partita personale, in solitaria. In questo schema inedito, le frasi sul garantismo servirebbero ad accreditarsi in altri mondi, distanti dall’universo grillino. Scenari suggestivi ma, al momento, lontani dalla realtà. Le dichiarazioni di Di Maio riposizionano il M5s, non vogliono superarlo.

Infatti, nonostante i silenzi, nella truppa è tanta la voglia di voltare pagina. «Siamo stufi delle manette, dobbiamo fare politica», dice un parlamentare vicino all’ex capo politico. I neo-garantisti sono soprattutto alla Camera. A Montecitorio, spiegano, la svolta «è stata accolta come una boccata d’ossigeno». Gli entusiasti sono più di una cinquantina tra Camera e Senato, ma di forcaioli con la bava alla bocca se ne trovano pochi. Gli irriducibili delle manette resistono a Palazzo Madama. Basta osservare la comunicazione. I contenuti web più trash provengono dallo staff dei senatori, ad esempio sui voli di stato della presidente del Senato Elisabetta Casellati. Tra i comunicatori, Ilaria Loquenzi è considerata ancora fedele alla vecchia scuola. Il capogruppo Ettore Licheri, avvocato e collaboratore del pool dell’inchiesta Calciopoli nel 2006, è visto come un campione di giustizialismo. La vicepresidente del Senato Paola Taverna è una dei pochi big a non aver detto la sua sul caso Uggetti-Di Maio. Tace Roberto Fico, che però se ne lava le mani tirando in ballo il fatto di essere presidente della Camera. Non parla Beppe Grillo, sprofondato nel mutismo dopo il video umorale in cui aveva difeso il figlio Ciro, accusato di stupro dalla procura di Tempio Pausania.

E c’è Giuseppe Conte, che si muove come un pugile suonato. La mossa delle scuse a Uggetti lo ha lasciato di sasso. Bruciato sul tempo da Di Maio, non ha potuto fare altro che seguirlo a ruota. L’ex premier ha perso l’occasione per intestarsi la paternità del cambio di passo, ma allo stesso tempo non ha il physique du role per tenere i Cinque Stelle nella ridotta giustizialista. Per non farsi mancare nulla è tallonato a sinistra dal segretario dem Enrico Letta. Il leader del Pd continua a corteggiare l’elettorato giovanile, tradizionale serbatoio grillino, con la dote ai diciottenni e la tassa di successione. Letta è stato freddo anche sulla svolta di Di Maio. «Né giustizialismo, né impunitismo», ha detto. Per non parlare dello stallo con Davide Casaleggio, da cui non si vede una via d’uscita che non sia un accordo.

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