Guerra in Ucraina, Daniele: “che guerra stupida ed inutile, quelle immagini di quei bambini che scappano terrorizzati, sono atroci. E Zelensky la finisca di fare quelle uscite stile istagram: meglio sconfitti che morti…”

By Gaetano Daniele

La guerra, che spreco di vite. E quelle scene di quei tanti bambini che muoiono, che scppano terrorizzati, sono atroci. Figli di una società di pazzi dal volto non improbabile, probabile. Costetti a fuggire senza neanche sapere dove e perché. Ne soffrono dentro. E non comprendono proprio questa ferocia dei folli. La guerra. Che inutilità. Un solo vantaggio, oltre a quello economico dei diretti interessati, le televisioni e i giornali hanno cessato di romperci le palle con il Covid e hanno messo a tacere perfino i No vax. Ora si parla per ore della povera Ucraina martoriata, gente che evacua da Kiev e da altre città sotto tiro dei russi. I virologi sono stati trombati da presunti esperti militari e di geopolitica. Parlano finanche metalmeccanici, donne delle pulizie e maccheroni Barilla, tutti esperti. Tutti. Danno fiato senza neanche sapere di che cazzo parlano. La guerra. Se solo avessero realmente idea di quelle che sono le conseguenze devastanti che comporta, si ritirerebbero in qualche convento isolato su qualche monte, pagando penitenza con 150 frustate al giorno. La guerra. Ciascuno dice la sua lanciando addirittura previsioni sull’esito del conflitto, mostrando di improvvisare analisi che non trovano riscontro neanche se le incolli con l’attak.

Finanche Toninelli, già ministro della Repubblica italiana, braccio destro di Di Maio, solo due giorni fa ha dichiarato che l’Ucraina fa parte della UE. La permanente o qualche bigodino deve avergli perforato il cervello. I latini dicevano: “nomen nomen”.

In Italia crescono i tifosi di Putin e anche quelli dei suoi nemici, dei quali, fsccio finta di non saperli e mi confondo con il metalmeccanico, con la signora pensionata, e con gli eroi invisibili prigionieri di Ghosbaster… diciamo allora che non si conoscono le colpe. Insomma siamo di fronte a un fenomeno di arretratezza culturale che riporta il nostro Paese, e anche l’Europa, a epoche lontane e mai dimenticate. Udire le dichiarazioni riportate del capo del Cremlino è come riascoltare i comizi di Hitler e rutti di Stalin, o perché no, qualche alzata di testa di Mussolini. Il globo terraqueo, invece che progredire nella pacifica convivenza dei popoli, è tornato indietro di decenni, dalla guerra fredda che non faceva solletico a nessuno, siamo passati a quella calda che provoca nei cittadini meno esaltati un panico soffocante. Da non confondere con il carattere. Sono solo esaltati psicopatici.

Il bello, si fa per dire, è che nessuno ha ben chiaro in testa quale dei due contendenti abbia ragione e quale torto. La Russia e l’Ucraina, a noi gente comune che risiede in Occidente, sono “diciamo” pressoché sconosciute, ne ignoriamo la storia e nel giudicare il loro scontro andiamo a tentoni, siamo influenzati da simpatie e antipatie epidermiche. Non siamo lucidi, poiché privi di informazioni e di dati storici su cui meditare.

Cosicché discutiamo a capocchia, ciascuno di noi ingenuamente crede di avere la verità in tasca. Ci fanno pena gli ucraini che fuggono con la prole aggrappata ai pantaloni e alle gonne dei genitori, ci spaventiamo al boato sinistro delle armi che echeggia a Kiev. Ma ci interroghiamo invano perché succeda tutto questo.

I Paesi dell’Est per noi sono un mistero, li osserviamo sullo schermo della tv con diffidenza, salvo partecipare con solidarietà alle scene strappacuore offerteci dai telegiornali mentre pranziamo o ceniamo. Di Putin abbiamo una sola consapevolezza: è amico di Albano e Berlusconi. Del presidente ucraino abbiamo scoperto che era un attore comico. Sul resto buio fitto. Se pensiamo che il padrone della vecchia Urss medita già di azionare l’armamentario nucleare ci tremano i polsi, e lo odiamo. Ma vorremmo anche suggerire a Zelensky di non fare l’uomo di carattere sui bambini che muoiono, lasci perdere. Non sprechi energie e soldi. Meglio sconfitti che morti. Sient a me…!

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