By Pasquale Napolitano
C’è un problema in casa Pd: da fine agosto Paolo Gentiloni sarà senza poltrona. L’ex premier diventa ufficialmente «un disoccupato eccellente». E soprattutto «ingombrante», come un elefante in una stanza, al Nazareno. La road map, dopo il via libera al bis di Ursula Von der Leyein, è praticamente fatta: a fine luglio il governo Meloni indicherà il nome del futuro commissario Ue che prenderà il posto di Gentiloni, nominato nel 2019 dall’esecutivo Conte due. La partita nel centrodestra sembra ristretta a due nomi: Raffaele Fitto o Elisabetta Belloni. Il passaggio di consegne sarà veloce. Da fine agosto, Gentiloni sarà un disoccupato. L’ex presidente del Consiglio Pd prepara gli scatoloni per traslocare da Bruxelles a Roma. Ma non vuole restare a lungo un disoccupato di lusso. Certo, il curriculum (ministro degli Esteri, presidente del Consiglio, commissario Ue) consentirebbe a Gentiloni di accasarsi, come Letta e Di Maio, senza difficoltà su qualche comoda poltroncina, ben retribuita, dei vari enti europei. Però, Gentiloni di svernare in giro per il mondo pare non ne voglia sapere. Vuole rimettersi in gioco sul campo. Insomma, vorrebbe sentire l’odore del sangue della politica. E sporcarsi di nuovo le mani. Nel Pd qualcuno gli aveva suggerito anche di guidare la lista alle Europee al Centro. Però l’ex ministro degli Esteri non è un campione di preferenze, dunque ha preferito soprassedere.
Cosa farà ora al suo rientro in Italia? Se lo chiedono in tanti al Nazareno. La prima a porsi la domanda, per interesse diretto, è la segretaria Elly Schlein. La capa dei dem avrebbe confezionato due proposte: la presidenza del Pd, dopo il trasloco di Bonaccini a Bruxelles, o la guida della Fondazione Pd, al cui timone c’è oggi Nicola Zingaretti. Due offerte che Gentiloni, fa trapelare tramite i suoi emissari, rifiuterebbe con garbo. Si capisce. Si tratterebbe di passare da disoccupato a pensionato. Il commissario Ue agli Affari economici vuole un incarico più operativo. La minoranza interna dei democratici, da Guerini a Bettini, puntava sulla carta Gentiloni per il dopo Schlein. Ma oggi la leadership della segretaria non sembra più in pericolo. Si sono allineati tutti. Il voto alle Europee ha certificato la forza di Schlein rispetto agli avversari interni. Il primo piano di Gentiloni salta. E poi l’ex capo del governo non avrebbe i numeri in Parlamento per iniziare una guerra contro la segreteria. Sono solo due i deputati gentiloniani: Enzo Amendola e Lia Quartapelle. Poca roba.
C’è un’opzione fuori dal Pd: Gentiloni federatore del contenitore centrista alleato del Pd. Oggi però la novità è la sintonia tra Renzi e Schlein, grazie al lavoro di mediazione di Romano Prodi. Tra Gentiloni e il leader di Italia Viva i rapporti sono, dai tempi della staffetta nel 2016 a Palazzo Chigi, freddi. Ostili. Sospettosi. E Renzi non accetterebbe, soprattutto ora che si trova in una fase di feeling con Schlein, di farsi federare da Gentiloni.
La terza opzione è più un sogno che un’ipotesi concreta: Gentiloni è convinto di aver le carte in regola per diventare il candidato premier del campo largo.
Nel Pd l’ala vicina alla segretaria, non si risparmia in battute al veleno: «Se passa il premierato, te lo immagini Gentiloni contro Meloni? Finisce 70 a 30. Ovviamente per Meloni», commenta al Giornale con sarcasmo un giovanissimo deputato dem della truppa Schlein. Fine dei sogni.