Fango, violenza, accuse e poi quello strano silenzio: l’ombra di Bolsonaro dietro l’assalto a Brasilia

Jair Bolsonaro non ha messo in campo nessuna manifestazione di piazza paragonabile a quella convocata da Donald Trump del 6 gennaio 2021 che a Washington sfociò nell’assalto a Capitol Hill,ma è comunque da ritenere il mandante morale dell’assalto alla Piazza dei Tre Poteri che ha sconvolto Brasilia

L’ex presidente oggi in Florida ha condannato le mosse dei manifestanti dopo che a farlo era stata la leadership del suo partito, il Partito Liberale, che da prima forza al Congresso si prepara a guidare l’opposizione a Lula. Ma il magma retorico di cui è intrisa la propaganda bolsonarista e che si è scaricato nella corsa folle dei seguaci dell’ex presidente contro i palazzi del potere è stato alimentato prima e dopo la tenuta del potere dall’ex capitano divenuto capo di Stato.

Bolsonaro in passato ha apertamente lamentato il crollo della dittatura militare del paese, e, come ricordato dal Washington Post, “Durante la sua permanenza in carica, ha fatto poco per ammorbidire la sua bellicosità. Ha avvertito che una rottura” del governo con il popolo avrebbe potuto portare a una soluzione paragonabile a quanto successo “con il colpo di stato militare del 1964”. E come nota l’Agi, “C’è un personaggio americano che unisce l’assalto al Congresso di Washington del 6 gennaio 2021 e quello al Congresso brasiliano di oggi: è Steve Bannon”. Proprio Eduardo Bolsonaro, figlio dell’ex presidente, poco dopo il ballottaggio aveva pubblicato un appello di Bannon al Brasile fondato sulla comunicazione che la vittoria della Sinistra era stata frutto di frode: “voglio rubare le vostre elezioni, come è successo qui negli Stati Uniti”, aveva detto allora l’ex spin doctor di Trump. 

Bolsonaro in campagna elettorale ha ricordato che una sua sconfitta avrebbe causato al Brasile “problemi peggiori” di quelli che hanno avuto gli Stati Uniti a gennaio 2021 e lasciato intendere che la “frode” è l’unica motivazione con cui Lula possa aver vinto. Eduardo, senatore popolarissimo nell’estrema destra brasiliana, ha detto, come ricordato dal quotidiano della capitale Usa, che nel Paese “arriverà un momento in cui la situazione sarà la stessa degli anni Sessanta” e in cui dunque l’esercito si sentirà chiamato a prendere il potere. Del resto lo stesso Bolsonaro ha fatto apertamente intendere in passato di considerare il golpe un antidoto agli esiti scorretti della democrazia: “Con il voto non cambierà niente in questo Paese”, disse nel 1999. “Purtroppo, le cose cambieranno solo quando un giorno partiremo per una guerra civile qui dentro e faremo il lavoro che il regime militare non ha fatto, cioè uccidendo 30 mila persone, cominciando da Fernando Henrique Cardoso” – Presidente del Brasile ai tempi.

Per un accidente della Storia è stato un voto politico legale a portare al potere l’ex tribuno del Paese verdeoro, in un Brasile che nel 2018 era assetato di rivalsa contro il Partito dei Lavoratori di Lula avvelenato da una retorica giustizialista e desideroso di quel rilancio che la retorica liberista, libertaria e culturalmente impositiva di Bolsonaro sembrava poter garantire. L’allergia alla democrazia di Bolsonaro è la stessa dei fazendeiros, della grande finanza e del sistema politico-mediatico anti-Lula che ha fatto buon viso a cattivo gioco ed è arrivato a creare anche nell’ottobre 2022 una macchina elettorale compatta per difendere il presidente in carica, nonostante la disastrosa gestione della pandemia avesse lasciato più di un dubbio sulla sua capacità di governo.

Bolsonaro è responsabile perché ambiguo nelle scorse settimane sull’accettazione della vittoria di Lula, perché mai ha dissuaso i suoi dal picchettare le sedi dell’esercitochiedendo l’intervento armato per spodestare il vittorioso candidato socialista e perché anche ieri nel condannare i facinorosi non ha potuto fare a meno di alimentare ulteriore polarizzazione. Bolsonaro ha paragonato l’assalto dei suoi sostenitori ai tafferugli verificatisi nel 2003 a Porto Alegre tra polizia e attivisti no-global, schierati a Sinistra, e allo sciopero generale del 2017 contro la caduta di Dilma Rousseff. Situazioni sicuramente critiche ma mai paragonabili a un vero e proprio attacco alla democrazia verdeorocome quello di ieri.

Le risposte di Bolsonaro agli attacchi di Lula, che lo ha accusato di sobillare con la sua retorica le proteste violente, sono apparse un po’ impacciate. Il ministro della Giustizia, Flavio Dino, secondo quanto riporta O Globo, ha dichiarato che “è chiaro che la responsabilità politica (di Jair Bolsonaro) è inequivocabile. La responsabilità legale, poi, spetta ovviamente alla magistratura, alla Procura della Repubblica” ha affermato. “Tutti coloro che vogliono polarizzare, istigare la pratica dei crimini, l’estremismo, sono politicamente responsabili, per azione o per omissione” ha aggiunto. Anche il leader del Partito Liberale, Valdemar Costa Neto,ha parlato di “un giorno triste per il Brasile” e affermato che questo movimento di oggi a Brasilia è una vergogna per tutti noi e non rappresenta il nostro partito”. Per Costa Neto è bene tracciare un solco: “Non sosteniamo questi movimenti. Noi appoggiamo Patria, Famiglia e ibertà. Sosteniamo i movimenti positivi”.

La fuga di Bolsonaro negli Usa è apparsa pilatesca agli occhi di molti commentatori, ma ha avuto l’effetto di sobillare ulteriormente il suo popolo. Finita la breve “tregua” nazionale del lutto collettivo per la morte di Pelé, raro momento unitario del Paese, conclusasi la fase di insediamento di Lula, avviata la risposta alle politiche bolsonariste da parte del nuovo governo la base radicale dei sostenitori di Bolsonaro, membri in larga parte bianchi della classe media urbana timorosa del ritorno al potere della Sinistra e delle implicazioni securitarie e economiche, è esplosa. Senza che da Orlando arrivasse alcuna parola favorevole a una pacificazione, quello che tutti temevano ed era stato immaginato da più parti come scenario base, ovvero una deriva reazionaria della base di Bolsonaro in modalità Capitol Hill, si è verificato. Con le gravi conseguenze per la democrazia verdeoro che sono sotto gli occhi di tutti. E il rifiuto di Bolsonaro di avallare la transizione con Lula è stato l’innesco decisivo di un problema alimentato, nelle settimane successive alla sconfitta, dall’ex presidente.

Pubblicato da edizioni24

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