Esercitazione antisommossa in Kosovo: l’Esercito italiano si prepara a ‘Camp Sparta’ per eventuali attacchi

Esercitarsi per qualsiasi evenienza. Il lavoro dei militari italiani impegnati in Kosovo prevede un costante addestramento per farsi trovare pronti di fronte a ogni tipo di operazione in cui potrebbero essere impegnati nel teatro operativo. Una necessità che si somma a quella altrettanto importante di lavorare in sinergia con i contingenti delle varie nazioni schierate nel Paese balcanico. Superare l’eterogeneità dei contingenti e anche amalgamare le rispettive competenze e specificità è un compito che appare semplice. Ma quando ci si trova a dover confrontarsi con una realtà complessa come quella di una missione all’estero, tutto deve essere predisposto affinché non sembri di lavorare come tante forze armate di diversi Paesi, ma come un blocco unico impiegato per un unica missione.

Tra queste esercitazioni, quelle antisommossa hanno un carattere speciale perché rappresentano una delle potenziali sfide che potrebbero fronteggiare le forze Nato in un ambiente come quello kossovaro. Le tensioni nel Paese appaiono certamente meno forti rispetto a quelle che negli anni passati hanno sconvolto l’allora regione (oggi Stato). Tuttavia, anche la cronaca di questa estate con alcune proteste per la questione delle targhe automobilistiche kossovare imposte alla minoranza serba ha confermato che i frutti della pacificazione non autorizzano ad abbassare la guardia. Tema diventato scottante anche agli inizi di novembre, con proteste e dimissioni, a conferma che i problemi persistono pur con l’impegno di tutti gli attori interni e internazionali.

La preparazione deve essere quindi non soltanto costante, ma il più possibile realistica: perché in caso di emergenza e a precise condizioni, le truppe di Kfor potrebbero essere costrette a un intervento. In questi casi, è la polizia del Kosovo ad avere piena capacità operativa e diretta responsabilità: ma non si può escludere che le forze internazionali possano trovarsi nella condizione di reagire a precise azioni dimostrative di matrice violenta.

È in questo contesto che assumono particolare importanza le esercitazioni tra i vari contingenti. Una di queste è quella avvenuta a Camp Sparta, campo di addestramento delle forze Nato non lontano dal monastero serbo-ortodosso di Decani. Qui, nella parte occidentale dell’area controllata dalle forze armate italiane, i contingenti di diverse nazioni hanno simulato l’assalto alla base da parte di alcuni manifestanti: un gruppo ha interpretato la parte dei facinorosi, con la realizzazione di barricate e la simulazione di lancio di oggetti; gli altri contingenti, invece, hanno simulato la parte “tradizionale”, quella delle forze impegnate nel mantenimento dell’ordine pubblico. Una classica operazione di controllo della folla attuata in un’area potenzialmente critica come quella di una base Nato in un territorio ancora scavato da ferite profonde. E che come visto negli anni passati, può essere nuovamente teatro di violente proteste.

Come spiegato dai comandanti del contingente, lo scopo di questo tipo di esercitazioni è quello di fare in modo che i soldati non si trovino impreparati di fronte a uno scenario che non rientra nelle competenze “tipiche” di tutte le forze. Per molti, specialmente per i Carabinieri, questo tipo di “mansioni” è pane quotidiano (come dimostrato dalle manovre effettuate dalla Multinational Specialized Unit dell’Arma impegnata nei pressi di Pristina). Ma per altre unità, questo lavoro appare meno naturale, reso ancora più complesso dal doversi interfacciare con colleghi di altri Paesi, quindi con un retroterra culturale e dottrinale ancora più specifico. Addestrarsi quindi non è solo un modo per rimanere allenati di fronte a un evento che non deve mai essere imprevisto, ma aiuta anche a formare quell’unità di intenti di un contingente che vede diverse nazionalità e diverse (e specifiche) forze schierate dai rispettivi Paesi. In primis dall’Italia che, dalla base vicino Pec/Peja, guida le truppe della parte occidentale del Kosovo.

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