[Esclusiva ith24] Il Colonnello Calcagni conquista il mondo: “Nemici Invisibili”

Redazione

In esclusiva assoluta, ith24 pubblica le memorie del Colonnello del Ruolo d’Onore Carlo Calcagni. Il titolo è “Nemici Invisibili”. Ed è già un successo mondiale. Si. Perché le email di supporto all’ormai insuperabile Colonnello Calcagni, sono migliaia. Da ogni parte del mondo.

La forza. La unicità del Colonnello Calcagni, non trovano eguali nel globo. E diventa punto di riferimento degli ultimi. Per chi soffre. Per chi in lui trova un punto di riferimento: forza e coraggio.

Di seguito il messaggio del Colonnello del Ruolo d’Onore Carlo Calcagni:

NEMICI INVISIBILI

Eccoci qui “NEMICI” cari, ora siamo veramente soli!

Sono dinanzi allo specchio, mi guardo e non vi vedo. Eppure uno di voi due è da troppi anni ormai dentro di me, mentre l’altro è fuori, potenzialmente ovunque, intorno a me.

Nanometri: unità di misura che ho imparato a conoscere sulla mia pelle; tanto contano i diametri dei miei nemici, dimensioni infinitesimali eppure infinitamente letali.

Dentro di me miliardi di particelle di metalli pesanti inalate durante una missione di pace in Bosnia-Herzegovina. Piccolissime, invisibili, micro e nano-particelle sollevate da ripetuti decolli e atterraggi del mio amato elicottero su quelle terre violentate e martoriate dalla guerra, dove ho volato per ore, nel tentativo di salvare vite umane.

Micro e nano-invasori, dei quali non ero stato informato e che non ero stato addestrato a combattere. Avversari dai quali non sono stato in grado di difendermi, poiché ne ignoravo l’esistenza e il pericolo.

E’ questo il mio primo NEMICO, quello con cui faccio i conti ad ogni risveglio e in ogni ora delle notti insonni, da 20 lunghissimi anni, un NEMICO impercettibile ad occhio umano che, giorno dopo giorno, si è insinuato in ciascuna cellula del mio corpo, raggiungendone il DNA sino a mutarlo e scavando cicatrici, visibili ed invisibili, ma tutte cariche di dolore.

Sono un Colonnello del Ruolo d’Onore dell’Esercito Italiano, paracadutista, pilota ed istruttore di elicotteri, che nel 1996 ha preso parte alla missione internazionale di pace della NATO, sotto l’egida delle Nazioni Unite, in Bosnia-Herzegovina, svolgendo, in varie occasioni, anche servizio MEDEVAC, evacuazione medico sanitaria, soccorrendo feriti e recuperando i corpi o i loro resti.

Io sono il Colonnello:

Dopo qualche tempo dal mio rientro in Patria, ho iniziato a stare male e mi sono sottoposto a tutti gli accertamenti utili a comprenderne le ragioni. Da allora vivo i miei giorni in vari ospedali, centri medici, studi specialistici, sottoponendomi a delicati interventi chirurgici, spesso d’urgenza, esami diagnostici di ogni tipo, esami bioptici, nonché sopportando, quotidianamente, lunghissime ed invasive terapie farmacologiche, tra cui, settimanalmente, la plasmaferesi terapeutica, una sorta dialisi ma più lunga, necessaria a rallentare la polineuropatia cronica, degenerativa e irreversibile, con parkinsonismo. Ho sviluppato numerose patologie che nel 2007 hanno portato al mio Decreto Ministeriale di riforma, con riconoscimento della causa di servizio e relativa diagnosi di malattia multiorgano, neurodegenerativa, cronica progressiva ed irreversibile.

Alluminio, Antimonio, Argento, Arsenico, Berillio, Cadmio, Cesio radioattivo, Cromo, Ferro, Manganese, Mercurio, Nichel, Oro, Palladio, Piombo, Platino, Rame, Rodio, Stagno, Stronzio, Tallio, Titanio, Torio, Tungsteno, Uranio radioattivo, Vanadio: questi i metalli pesanti, tossici, dei quali è stata DIMOSTRATA la presenza, in quantità esageratamente superiore alla norma, nel mio organismo.

Sindrome mielodisplastica, panipopituitarismo, distiroidismo, insufficienza renale, MCS (sensibilità chimica multipla), insufficienza cardiaca, fibrosi polmonare interstiziale, con insufficienza respiratoria, polineuropatia cronica, degenerativa ed irreversibile con parkinsonismo, disautonomia e sindrome da fatica cronica: un freddo elenco di diagnosi, ecco ciò che è stato capace di regalarmi il NEMICO che non ho potuto riconoscere e guardare negli occhi, mentre ero impegnato nell’adempimento del dovere, svolgendo il mio ruolo di pilota elicotterista dell’Esercito Italiano, durante una missione internazionale di pace!

E a questi doni indesiderati si sono aggiunte, negli anni, le privazioni che la malattia ha portato con sé, le rinunce di un uomo che dalla vita poteva avere tutto ciò che aveva sempre desiderato. Piano piano, mi hanno imposto di abbandonare il volo e negato la possibilità di poter servire lo Stato come si insegna ad un soldato; molto mi è stato sottratto, nella mia vita lavorativa, personale ed affettiva. Persino la mia grande passione, il ciclismo, è caduta sotto i colpi delle micro e nano-particelle di veleni, sebbene i trofei e le medaglie, ricordi indelebili e frutto di oltre trecento vittorie, in tanti anni di sacrifici, siano ancora lì a ricordarmi quali imprese la volontà sia riuscita a compiere e come, quando meno te lo aspetti, tutto possa cambiare in un solo istante.

La VITA è un soffio…
una boccata di ossigeno.

Non trattenere il fiato…
respira intensamente…
prendi più ossigeno che puoi…
e vivila… attimo per attimo…
più intensamente che puoi…
fino in fondo…
fino all’ultimo respiro!
(Carlo Calcagni)

Eppure proprio quella determinazione, a dispetto e nonostante la potenza del mio NEMICO, è stata capace di trasformare la mia bici in un triciclo pur di poter continuare a pedalare.

Sì, un triciclo, necessario a rendere più stabile la mia corsa ormai minata dalle incertezze neurologiche, e che mi permettesse di “continuare” ad essere un campione, anche se “definito” atleta paralimpico. Un pedalare, il mio, all’insegna del “MAI ARRENDERSI”, motto e messaggio della mia testimonianza, vivente e concreta, che è stimolo motivazionale e ispirazione per tutti coloro che devono fare conti quotidiani con innumerevoli NEMICI, del corpo e dello spirito. Tre ruote che rendono onore ad una “DIVERSITÀ” che non vuole piangersi addosso, per nessun motivo e per nessun dolore, ma che sorride valorizzando ciò che è rimasto di meraviglioso nella mia vita, cercando di farlo splendere ancora di più.

Ogni mia giornata, da anni, è scandita dai ritmi delle terapie farmacologiche: l’immuno terapia, le sedute di plasmaferesi ospedaliere, l’ossigenoterapia, le trasfusioni, le flebo, le centinaia di compresse da ingerire ed il rumore del ventilatore polmonare notturno. Tutti strumenti necessari al mio corpo per poter SOPRAVVIVERE.

Ma per VIVERE ho bisogno di correre, di dare fiato a polmoni stanchi e musica ad un cuore malconcio. Ho bisogno di scaldare le gambe al ritmo delle pedivelle che girano veloci e mi accompagnano a respirare “vita” lungo le strade del Salento, costeggiando il mare, da solo, con i miei pensieri, o con mio figlio e gli amici al mio fianco. Il mio TEAM, il TEAM CALCAGNI “MAI ARRENDERSI”, ha sostituito i compagni d’arme: una squadra che veramente non lascia indietro nessuno, come si impara quando si diventa paracadutista della Folgore. Il gruppo di ciclisti, di cui sono capitano, continua ad essere per me sprone a dare sempre il meglio, per essere d’ESEMPIO e sostenere sempre gli ultimi; così mi ricordano i soldati che ho comandato durante gli anni di servizio effettivo nell’Esercito e che oggi mi onorano con tantissimi messaggi di stima e riconoscenza. Una squadra che ha saputo dare spazio alla DIVERSITÀ affianco alla NORMALITÀ e che ha potuto riconoscere un posto ai ragazzi che si affacciano a questa disciplina. Sono i miei “ragazzi” a farmi sentire bene ed a farmi sentire vivo: i coetanei di mio figlio tredicenne che si entusiasmano per una gara su strada, o di ciclocross, gli amici di sempre che si fanno convincere a seguirmi in bici, i compagni del TEAM che non hanno vergogna della loro pedalata da ciclisti “diversi” in sella ad un triciclo o stesi su una hand-bike. Il sole dei pomeriggi d’agosto, il vento di tramontana e gli improvvisi acquazzoni estivi, regalano alle nostre uscite di gruppo un sapore di amicizia che permette di illuminare il grigiore dei metalli che hanno invaso il mio corpo e la mia mente.

Questo è quello che mi ha lasciato il mio NEMICO numero 1, ciò che ho faticosamente dovuto strappargli per poter continuare a (R)ESISTERE. Tante volte sono stato sul punto di mollare, di assecondare un futuro che forse era già scritto per me. Troppe volte, pensieri bui hanno oscurato la mia mente, nelle lunghe notti senza riposo; eppure sono ancora qui, a raccontarmi, per me, per miei figli e per tutti voi, con la speranza che nulla sia stato vano e per lasciare una traccia della mia esistenza.

Oggi sono nuovamente allo specchio, ad affrontare un nuovo NEMICO, anch’esso, ora come allora, INVISIBILE, che tutti conosciamo, COVID-19, e dal quale abbiamo imparato a proteggerci.

Fredde lettere in piedi una accanto all’altra, che compongono una sigla non molto diversa da quelle che conosco così bene: Zn, Cu, Mn, U, Cs, As, Sr, Ti, Fe, Cr, Hg, W, etc. Simboli apparentemente insignificanti, eppure sono codici potenti ed inarrestabili di distruzione.

Quasi ci ridevo alle prime informazioni giornalistiche, quando sembrava ancora tanto lontano da noi, dalla protezione della mia casa e dei miei affetti, quando pensavo, sorridendo, che non avrei dovuto aver timore di nessun altro avversario oltre quelli che combatto ogni giorno. Ma forse il mio era soltanto un tentativo di esorcizzare una nuova e ancor più ignota paura. Me ne sono accorto presto, quando pian piano dentro di me il COVID-19 ha assunto la forma, invisibile e strisciante, della necessità di prendere le distanze dal mondo, persino dai miei figli.

“Polmonite interstiziale bilaterale”: in questo modo si inizia a dare un nome a ciò che il virus porta con sé. Come non pensare immediatamente ai miei di polmoni, che da anni sopportano il carico di miliardi di piccolissime particelle di veleni? Il mio saturimetro misura, ormai da troppo tempo, valori di ossigenazione che oggi condurrebbero chiunque in urgenza ad una ventilazione assistita, i miei polmoni hanno già subìto un intervento di asportazione di noduli, le mie notti trascorrono già appese ad una macchina per respirare. Come posso impedire alla mia mente di riconoscermi in tutti quegli uomini e quelle donne che in questo periodo sono stati ricoverati in situazioni di emergenza e che, purtroppo, hanno perso la vita?

Questo nuovo NEMICO non fa altro che amplificare le mie vecchie fragilità: mi scopro oggi ancora più vulnerabile e tutto ciò mi fa paura e genera tanta rabbia. Sono uno spirito libero e testardo, eppure ho dovuto imparare a rinunciare a tanto, a troppo direi. Oggi decido di aumentare, e spero per un tempo non troppo lungo, l’elenco delle mie rinunce. Lo devo a me stesso, lo devo ai miei figli e a chi mi vuole bene, lo devo fare pensando a ciò che posso e voglio, ancora, donare agli altri.

E allora la mia casa diventa il mio rifugio e al tempo stesso la mia prigione: da fine febbraio 2020 ho dovuto chiudere il cancello di ferro che mi distanzia dal mondo. Ogni mio incontro con amici e conoscenti è stato sostituito da contatti virtuali, persino i miei figli sono stato costretto a tenerli lontani da me. Ogni abbraccio, ogni stretta di mano, qualsiasi persona affianco, anche quella più amata, potrebbe diventare un pericolo mortale. Così, amaramente, solo il telefono mi tiene legato agli affetti, una fredda e anch’essa invisibile connessione wi-fi mi consente di ascoltare le voci di Andrea e Francesca e vederne i sorrisi. Persino Franco, il mio infermiere, amico da sempre ed angelo custode, ha dovuto rinunciare a preparare quotidianamente le mie terapie in flebo: ho imparato a farlo da solo, anche quando le operazioni richiedono tempo e coraggio di trovare, a fatica, una vena libera o una parete accessibile del catetere venoso centrale. E così gran parte della giornata trascorre in alambicchi e tentativi di auto-somministrarmi farmaci ed ozono, mediante procedure che richiederebbero guida e sostegno da parte di personale specializzato.

Tenerti a distanza, caro invisibile NEMICO numero 2, non è facile per niente, ma è ora più che mai doveroso! Pensa se tu incontrassi il NEMICO numero 1, che squadra di morte! Entrambi invisibili, ma entrambi insidiosi e letali!

Non oso immaginare quale potere devastante potreste avere, insieme, sul mio respiro e sul battere del mio cuore, perché sicuramente sareste capaci di potenziarvi l’un l’altro!

Anche i medici, che si prendono cura di me, mi impediscono di sottopormi alle terapie ospedaliere periodiche, proprio perché sono molto più elevati i rischi dei benefici, per cui mi hanno, categoricamente, VIETATO l’accesso al reparto di nefrologia dell’ospedale Perrino di Brindisi per la necessaria plasmaferesi. Eppure, come spesso accade, un giorno inizio ad avvertire dei segnali dal mio corpo, quelli che ormai conosco meglio di un dottore, perché li sento nelle ossa, sopra e dentro la pelle, in ogni muscolo e nella testa. Col passare delle ore mi convinco sempre di più che è arrivata l’ennesima setticemia, anche questa volta ci sono problemi con il catetere venoso centrale impiantato nella giugulare: la febbre è alta e costante, il malessere persistente, anche le prestazioni, durante i miei allenamenti, sembrano calare drasticamente. L’emocoltura è positiva e conferma la setticemia. Sento immediatamente i miei amici medici anestesisti, Giancarlo e Giovanni, che mi dicono: “Il catetere deve essere urgentemente rimosso!”

Ma ho la febbre alta!

A causa delle “restrizioni e procedure” imposte dall’emergenza COVID-19, arrivando in qualunque Pronto Soccorso, con la febbre alta e con i miei valori ordinari di saturazione, esageratamente inferiori alla norma, sarei immediatamente ricoverato nel reparto di Malattie Infettive per poter escludere una infezione da COVID-19 ed essere adeguatamente trattato.

“Ma io non posso permettermelo.”

Quante volte ho rifiutato ricoveri ospedalieri in vita mia, scegliendo anche contro il parere medico, di curarmi in casa, per evitare rischi di sovra-infezione e, al tempo stesso, per non abbandonare le mie cose, le mie terapie domiciliari e gli allenamenti quotidiani.

Ottengo perciò, segnalata la situazione febbrile e le mie condizioni generali, di effettuare un tampone oro-faringeo a domicilio e, solo dopo aver ricevuto il risultato negativo, è possibile sottopormi al necessario intervento di rimozione del catetere risultato infetto. La mia prima ed unica uscita, dopo giorni e giorni di isolamento, avviene per recarmi in ospedale a Casarano, direttamente in sala operatoria. Dopo poche ore sono già a casa, pronto a continuare le mie cure antibiotiche, “ospedaliere”, rigorosamente da solo, a casa mia.

Questa infinita solitudine fa male, entra in ogni piega dell’anima, specialmente durante la notte.

Una mattina una volpe si è introdotta nel giardino attorno alla mia abitazione, per niente timorosa, si è avvicinata accoccolandosi al sole ed alternando riposi sul prato a salti e giochi con i gatti randagi qui intorno. Noto che è incinta, viene quando vuole, accetta il cibo che le lascio da parte, ci facciamo compagnia a vicenda, in un silenzio rispettoso l’uno dell’altra. Aspetterò se vorrà che nascano i suoi piccoli, lei attenderà con me che si allenti l’isolamento a cui sono costretto.

La volpe e la bici, mie amiche e compagne di questa quarantena.

La mia bicicletta non mi ha mai abbandonato, come io non ho tenuto distante lei, mai, anche e soprattutto nelle prove più difficili della mia vita. Anche oggi è con me, eppure anche stavolta devo inventarmi un modo per sentirla vicino. L’ho fatto quando sono stato costretto ad aggiungerle una ruota, per correre senza farmi male su un triciclo che mi piace chiamare “volante”; la trasformerò ancora e la “adatterò” per consentirle di starmi accanto.

Tenere distante il NEMICO numero 2 mi impedisce di uscire per strada, di raggiungere il mare come amo fare per alleggerire i pensieri. Ma il “MAI ARRENDERSI”, che ormai mi identifica come un documento di riconoscimento, da anni, mi impone di rincorrere un’alternativa.

E allora, in poche ore, non senza fatica, inizio a montare i pezzi di un nuovo triciclo, robusto e resistente, capace di volare nel terreno che circonda la mia abitazione, dove ho realizzato un circuito di circa 600 metri.

Ecco pronto il mio “TRICICLO CROSS”.

Lo metto alla prova: iniziamo insieme, le mie gambe, il mio cuore, la mia testa e l’amico a tre ruote, a sostenere il ritmo cui sono abituato, ad andare veloce, su e giù nella terra fertile del mio Salento, di questa villa che è divenuta: il mio rifugio, una pista e una sfida. Ed è così ogni giorno, lunedì uguali alla domenica, senza feste, senza Pasqua e senza Natale: ogni pomeriggio terminata la quotidiana terapia infusionale indosso la divisa, poi il casco e gli occhiali, con il concentratore di ossigeno sempre al seguito e salgo in sella. E’ sempre così che, contro ogni aspettativa medica, il cuore inizia a prendere il giusto ritmo, il battito si fa più regolare e silenzioso, mentre i polmoni si aprono per respirare la vita.

Ed io corro…

Corro e pedalo con tutto il fiato che ho, lontano dal COVID-19, dallo Zinco, dal Rame, dal Cesio, dall’Uranio, dal Tungsteno, dall’Arsenico, lontano dai veleni e dai pensieri di morte, quelli che infestano le mie notti solitarie sullo sfondo del rumore di un ventilatore meccanico.

Corro per prendere respiro, per dare un senso all’essere sopravvissuto ai tanti miei compagni, soldati Vittime dell’uranio e del Dovere, amici che ho dovuto salutare prima del tempo; per molti di loro non c’è ancora giustizia!

Corro per allontanare i fantasmi di un tempo, i terribili ricordi della Bosnia-Herzegovina, un Paese devastato dalla guerra fratricida, il sangue sui sedili dell’elicottero, le polveri fatte di piccolissimi NEMICI invisibili; pedalo da solo, oggi più di allora, lontano da questo avversario sconosciuto e insidioso, per non farli incontrare e lasciar loro spazio in un corpo già così vulnerabile.

Inseguo… con ogni respiro… senza fermarmi… mai… tra le zolle di terra ed i tramonti… la Vita!

Pubblicato da edizioni24

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