Ecco le sofferenti del Terzo polo. Carfagna e Gelmini dopo essersi gonfiato i muscoli con lo spara aria della graziella, ora non possono più tornare indietro, e ci mettono la faccia di bronzo

Ve li ricordate Michael Douglas e Kathleen Turner, nei panni dei coniugi Roses, che al culmine del litigio precipitano insieme tra i calcinacci, avvinghiati al lampadario?

Nel day after dell’implosione del Terzo Polo c’è chi evoca la scena cult del vecchio film, sostituendo le due star hollywoodiane con Carlo Calenda e Matteo Renzi, per richiamare entrambi alla responsabilità: «Ecco: evitiamo un finale del genere», dice Osvaldo Napoli di Azione: «Possiamo congelare il progetto, oppure ognuno può immaginare di perseguirlo senza l’altro. Ma nessuno immagini di costruire qualcosa contro l’altro. Sarebbe solo un servizio reso a populisti e sovranisti».

Napoli, insieme a un altro ex del centrodestra come Enrico Costa, è tra coloro che si sono spesi nelle ultime settimane per mediare tra un Carlo Calenda sempre più infuriato e un Matteo Renzi sempre più sfuggente e sornione. Ora, alle prese con lampadari crollati, suppellettili in frantumi e futuro sempre più incerto ci sono tutti coloro che sulla scommessa del Terzo Polo avevano investito, spesso abbandonando altri schieramenti politici per dar vita al nuovo progetto. Molti hanno notato il silenzio degli ultimi giorni di due ex ministre ed esponenti di primo piano di Forza Italia come Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, cui è toccato fare un comunicato ufficiale per smentire la ridda di voci che le davano sulla via del ritorno alla casa madre: «Siamo e restiamo in Azione, per portare avanti con Calenda un progetto in cui crediamo». Ma secondo i colleghi di partito che hanno condiviso il loro percorso «sono entrambe assai disagio per la situazione che si è creata», tra «il timore di ritrovarsi in futuro sospinte verso un’alleanza col Pd schleiniano» e i sospetti sulle manovre di avvicinamento di Iv al centrodestra: «Non solo Renzi rivendica un filo diretto col mondo berlusconiano, ma è curioso che abbia sentito il bisogno di far sapere che la sua prima telefonata per annunciare che avrebbe fatto il direttore del Riformista la abbia fatta a Giorgia Meloni: che necessità formale c’era?», si chiede un dirigente terzopolista che viene dal centrodestra.

Il leader di Azione non nasconde la frattura anche personale: «Antipatia tra me e Renzi? C’è un fondo di verità. Mentre io facevo politica lui stava alle Bahamas. Ma se poi quando torni dici fermi tutti, io non voglio muovermi da qua, c’è un problema politico e anche di fiducia». Per questo, sancisce gelando le speranze di chi anche tra i suoi spera di ricucire, «alle elezioni europee andremo ognuno per contro proprio». E la scelta di rompere ora la ha fatta con un obiettivo preciso: «Se ci separiamo ora – ha spiegato ai suoi – noi possiamo arrivare alle Europee con liste e candidature forti, senza defatiganti trattative coi renziani sui loro nomi, e superare largamente il quorum del 4%. Già ora ci danno intorno al 6%». Mentre per Italia viva, valutata da sola poco sopra il 2%, la soglia di sbarramento rischia di essere un miraggio: un fallimento che potrebbe costare caro all’ex premier: «Carlo pensa che in questo modo se lo leva di torno, e che lo spettro della sconfitta attirerà molti renziani nella sua orbita», confida un calendiano. Secondo il leader di Azione, «Matteo è tanto geniale nelle macchinazioni politiche quanto distruttivo nella messa a terra dei progetti. Trattare con lui è come trattare con quello che cerca di venderti la Fontana di Trevi».

Renzi reagisce smentendo punto per punto le «fake news usate per rompere»: è falso che non volesse sciogliere Italia viva e tenersi i finanziamenti, o che osteggiasse l’elezione a segretario di Calenda. E ai suoi spiega che «a Carlo manca il know how politico» da leader di partito: «Da solo va a schiantarsi alla prima curva».

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